lunedì 24 febbraio 2020

CANTA (INSIEME A ILDEGARDA DI BINGEN) CHE TI PASSA.

Domanda secca a bruciapelo: quand'è stata l'ultima volta che avete cantato in gruppo ad alta voce? Magari su di un prato, con un gruppo di amici e la chitarra, oppure in auto a squarciagola, durante un lungo viaggio seguendo la radio.

Pensateci, forse è trascorso molto tempo, forse troppo.

E poi, ancora vi capita di canticchiare da soli?
Avete mai cantato trasformando una canzone nota in una canzone comica o irriverente; per capirci avete mai trasformato "montagne verdi" in "lasagne verdi" o "passerotto" in "panzerotto"? E così via?

Qual è il vostro rapporto con il canto corale, collettivo? Inni nazionali, cori di opere liriche, Inni Sacri, Salmi, Gospel, Bhanjan, canti religiosi vari, canti di protesta, canti da lavoro e così via?

Pensateci, vi trovate a vostro agio in questi canti quando vi capita di ascoltarli? Vi unite al canto? Cosa provate? Sono emozioni positive di rigenerazione o no?
Possiamo dire che non è possibile una dimensione sapienziale senza la musica e soprattutto senza il canto.
Vediamo il perché.

Riprendiamo la nostra definizione iniziale di sapienza-sapore e rimarchiamola con una citazione.
Non il molto sapere sazia e soddisfa l'anima, ma il sentire e gustare le cose internamente. (Ex, Sp, 2,5).  
La frase è tratta dagli esercizi spirituali di Sant'Ignazio di Loyola (1491- 1556).

Avevamo definito anima con l'espressione generica: ciò che ci anima, ciò che ci rende vivi; l'anima quindi non aspira ad un sapere astratto e libresco ma aspira ad un sapere che sia gusto e sapore della vita stessa.
Ma cos'è che spesso rende la vita insipida e vuota?
Su questo praticamente tutte le tradizioni spirituali concordano: la separatezza.

Il sentirsi isolati, separati, non uniti, soli.
Dove per solitudine non significa semplicemente: "essere soli" ma isolati e rifiutati da ogni consorzio umano e naturale.

Una passeggiata tra i boschi in solitudine non significa essere soli, ma spesso provare il sentimento opposto: un profondo senso di comunione con tutta la natura.
Lo stesso dicasi nella lettura profonda, nella fruizione di un’opera d'arte, nella meditazione e nella preghiera.
In questi stati spesso l'anima gusta il sapore di una compagnia che la trascende.

L'essere soli quindi non coincide con una solitudine sociale, per quanto anche la compagnia sociale abbia la sua importanza.

La solitudine che ferisce l'anima ha a che fare con una solitudine esistenziale. Si manifesta quando l'anima si sente privata del gusto di far parte di qualcosa di più grande di lei: che può essere il divino, la natura, la comunità umana, la creatività, etc.
Non ci è dato di capire con esattezza perché ogni tanto proviamo questa privazione, forse fa parte di una condizione umana originaria, una sorta di "caduta" metafisica o altro.
Comunque esiste, è reale, si prova.

Quale rimedio a ciò?
Rivolgiamoci ad una grande maestra sapienziale del passato: Ildegarda di Bingen (1098 - 1179) santa, Dottora della Chiesa.

Questa santa visionaria descrive la sapienza con una bellissima immagine: quella del fazzoletto. La sapienza è infatti un dono di Dio simile ad un fazzoletto, un fazzoletto che deve essere dispiegato, da usare per poi avvolgere ogni cosa.
E cosa può avvolgere ogni cosa meglio della musica e del canto?

La riflessione della dottora va oltre: individua anche la causa del nostro senso di perdita e, anche in questo caso, la sua meditazione riguarda la musica.
Secondo Ildergarda la caduta di Adamo ha una connotazione precisa. 
L'essere umano, ad un certo punto, ha deciso di non partecipare più alla musica del creato, al gran concerto della natura, ma di staccarsi da esso. Ha deciso di osservare, non di partecipare. Ha deciso si essere un osservatore separato. Osservare per sapere senza far parte di.
E' questa la caduta.

Quindi non tanto un peccato di disobbedienza ma una tracotanza, una supponenza: pensare di conoscere rinunciando ad essere.
Dobbiamo tornare a far parte di quel concerto originario.
Dobbiamo ripristinare l'armonia universale e originale che abbiamo perduto.

Insomma, dobbiamo ritornare a cantare.

Da qui l'importanza del canto corale. 
Spiegare il fazzoletto della sapienza con il canto.
Quando possiamo e più spesso che possiamo cantiamo, cantiamo soprattutto in gruppo. Qualsiasi cosa ma cantiamo.

Assaporiamo il piacere del canto.
Magari anche ciò che la Madre Badessa ha composto e che ormai è disponibile in vari adattamenti moderni anche sul web.
Ildegarda infatti, ha composto e musicato inni, canti e preghiere.

Lei, grande maestra di sapienza, in alcune occasioni faceva si che le sue monache lasciassero il nero abito benedettino, per vestirsi di bianco, ornate di fiori, e cantassero in onore della luce.  
Fatelo anche voi: lasciate il nero abito delle preoccupazioni, del nero pensiero e della tristezza e cantate da soli o in gruppo, ma cantate.

E... divertitevi, lasciate sfogo al vostro inconscio: cambiate le parole di canzoni famose secondo il vostro istinto e vedete cose succede.
Lasciate che emerga l'aspetto più irriverente, più sconcio di voi, abbandonatevi all'effetto catartico di tale canto.
E dopo, grazie a questa liberazione, a  questa "dissacrazione", sarete in grado di "sacralizzare" e cantare gli inni sacri.
Allora vi sentirete leggeri, leggeri come una piuma sul respiro di Dio.


 Straf.

giovedì 13 febbraio 2020

IL CHIOSTRO INTERIORE. FUTURO E MANIPOLAZIONE

La pratica del non conforme, del Syat  e altre meditazioni descritte, ci hanno irrobustito di fronte ai vari tipi di manipolazione.
Siamo ormai consapevoli che le polarizzazioni ci tolgono energia e che la polarizzazione più potente è quella tra ottimismo e pessimismo.
Oggi ritorneremo sul tema in maniera più specifica e per farlo vi proporrò una piccola pratica.

La pratica in questione, molto antica in verità, è quella di crearsi un piccolo luogo interiore dove dialogare con i grandi del passato.
Il vantaggio che offre la fantasia e la cultura è alle volte questo, crearsi un luogo protetto, viaggiando nel tempo e nello spazio per sottrarsi alle manipolazioni, non per negarle ma per comprenderle e contrattaccare.

Ispirati dalla propria fantasia e dalle proprie letture, createvi un vostro luogo interiore; può anche essere più di uno. Potete crearvi più luoghi a secondo di ciò che state leggendo o in base al personaggio con cui volete dialogare o, più semplicemente, lasciate libero sfogo alla vostra reverie (vedi post).

Oggi vi condurrò nel '500 spagnolo in un chiostro poco fuori Salamanca, frequentato dai frati agostiniani.

Lì vi è frate Luis de Leon (1527 o 28 - 1591) che discute con i suoi confratelli.   (A questo autore dedicai già un post in un altro blog firmandomi come Leopardo Illeonito).

Amo oltremodo questo autore, questo fine poeta, vertice della lingua spagnola rinascimentale, teologo di elegante dottrina e mirabile traduttore. Costui non visse sempre nella calma del chiostro, conobbe la durezza del carcere nel quale l'inquisizione lo rinchiuse per anni a causa della sua traduzione dall'ebraico allo spagnolo del Cantico dei Cantici. 
  
Dopo il carcere riprese le sue lezioni universitarie, come se la detenzione non gli avesse fiaccato lo spirito; le riprese con la frase rimasta famosa: Dicebamus hesterna die  (Come dicevamo ieri).
In questo chiostro con frate Luis discutiamo del futuro, ovvero di quale futuro è riservato ai nostri giovani ed al pianeta.

Il dotto frate, camminando lentamente, con le mani appoggiate alla lunga cintura di cuoio tipica del suo ordine, comincia a parlare di uno dei suoi testi più famosi: De los nombres de Cristo (I Nomi di Cristo).
Tra i vari appellativi di Cristo vi è anche quello di: "Padre del secolo futuro", appellativo tratto da un verso di Isaia.

Cristo è anche Padre del secolo futuro, ovvero del futuro, del nostro futuro; ma cosa vuol dire?
Significa che Cristo ci invita a nascere un’altra volta, a rinascere nello Spirito. Ci esorta a rinnovarci, lasciandoci alle spalle tutto ciò che è vecchio e malsano. Ci rivela che è possibile affrancarsi da tutto ciò che ci inchioda nello sconforto.

L'affrancamento è realizzabile grazie ad un impegno che sia un progressivo venir meno del proprio egoismo e della propria chiusura mentale. In questo modo è possibile la costruzione di un futuro che non sia la semplice estensione di un presente che perpetua le attuali ingiustizie.

Il volere che Cristo sia padre del futuro vuol dire veramente credere che sia possibile creare una generazione futura realmente fortunata.  Dove per “fortuna” non s'intende che tutto debba andare di culo ma s'intende una pienezza di sapore- sapere della vita.

Nella calma del chiostro, seppur virtuale, le cose mi appaiono più chiare.
Diventa chiara la disputa tra catastrofisti e negazionisti.
E' una disputa fallace, è una disputa falsa perché porta allo stesso risultato: negare qualsiasi impegno.
Sia l'ineluttabile catastrofe, sia il negare il problema porta allo stesso risultato: disimpegnarsi e non fare mai un c...

Ma a chi giova questo non fare nulla, questo fiaccare la volontà? Cosa si nasconde dietro ciò che è diventato ormai un mantra universale ovvero: "Non c'è futuro per i giovani”?
E poi, ne siamo davvero sicuri?

Certo, l'aspettativa di vita per un giovane americano, magari nero, di un quartiere povero è assai bassa, ma a Napoli e dintorni non è maggiore. Un colpo di pistola sparato da un poliziotto, un overdose, un incidente in auto causato dall'alcol o un proiettile vagante in un regolamento di conti fanno sì che arrivare a trent'anni sia un'impresa.  E per i rimanenti? Si sta prospettando un futuro dove il lavoro sarà pagato un euro e cinquanta l'ora. E nel resto del mondo? Una guerra perenne povero contro povero.

Questa è la prospettiva. Ma da chi viene predicato e messo in atto tutto ciò? Dai vari potenti e dai loro alto-parlanti. Domandiamoci però quale tipo di futuro è riservato ai figli di costoro?
Costoro lo vedono benissimo: spesati a girare il mondo, senza una vera patria se non quella del denaro, e ben foraggiati per ogni evenienza con super stipendi o super parcelle o bustarelle o altro. Questo è il futuro che vedono e che si stanno creando.

Cerchiamo di non essere conformi a tale disegno.
Proviamoci almeno, con la consapevolezza che tale non conformità è davvero scandalosa.
E' scandalosa nel vero senso della parola cioè essere d'intralcio.
Proviamo ad essere pietra dello scandalo, d'intralcio, a codesta idea dominante che il futuro debba esistere solo per pochissimi.

Una vera pratica sapienziale vissuta nel sapore-sapere della vita non può accettare che il futuro sia privilegio di pochissimi.
Il futuro deve essere in Cristo.
Ciò non significa ovviamente un’adesione al Cristianesimo come confessione. Significa abbracciare un vero universalismo al di là delle appartenenze personali.   
Significa un'adesione sapienziale.

Una vera pratica non può rimanere indifferente a questa prospettiva manipolatoria e cercherà per prima cosa di non farsi fiaccare in bipolarismi in realtà gestiti dal pensiero unico.
Pertanto, vi invito ad uscire dalla caverna del pensiero conforme e a viaggiare nel tempo e nello spazio.
Createvi un vostro luogo interiore dove i grandi del passato prendono forme e vita e sono disposti a parlarvi.
E' molto meglio della TV ed esente da canone e da interruzioni pubblicitarie.  


Straf.


giovedì 6 febbraio 2020

LA PRATICA DEI GESTI (ancora sul non conforme)




Vi ricordate il Fantozzometro? Magari andate a dargli un’occhiata!
Dunque, mi ero già lasciato scappare qualcosa sull'importanza dei gesti e avevo recensito il libro della Amy Cudy sul tema; ora tiriamo un poco le somme.

In uno degli innumerevoli film dedicati all'eroe dei fumetti Batman vi è il nocciolo della questione. (Il cavaliere oscuro - Il ritorno; The Dark Knight Rises; 2012).

Batman deve compiere la sua ultima impresa, è un’impresa sacrificale: decide di sacrificare la propria vita per salvare la città (anche se la scamperà pure stavolta). Il clima è quello dell'addio.  Batman a bordo del suo bat-aereo si congeda dal vecchio commissario Gordon e in tale congedo rivela anche la  sua identità di Bruce Wayne; come? Rammentando un episodio.

Lui è il piccolo Bruce, è appena diventato orfano, entrambi i genitori sono stati uccisi da un criminale. Il piccolo Bruce è in una stazione di polizia, solo, smarrito, tremante ed impaurito; un semplice poliziotto di pattuglia si toglie il cappotto della divisa e copre il piccolo. E' un gesto, un semplice gesto, ma dà sicurezza al piccolo, si stampa nella mente del bambino smarrito: il mondo non gli è più ostile. Un semplice gesto, il cappotto di una divisa, si crea però il legame, il piccolo da grande sarà un difensore, un protettore dei deboli. Se quel piccolo è diventato Batman lo deve anche a lui, al commissario Gordon e a quel cappotto che, l'allora  semplice agente Gordon, gli aveva messo sulle spalle.
Potere dei gesti.

Leggiamo i testi sacri: Buddha, Gesù e i grandi maestri sono rappresentati nei gesti minimi, carichi d'energia, consapevolezza e grazia.
Abbiamo visto Fantozzi e i suoi gesti affannosi, ci siamo misurati con il fantozzometro ed ora rispondiamo: come sono i nostri gesti?
Sono affannosi, maldestri o cercano di creare un significato, di creare valore nella nostra vita?
Certo non ci capiterà di mettere il cappotto sulle spalle di un orfano ma le occasioni non mancano per dare valore ai nostri gesti.
Iniziamo ad osservare, intanto: osserviamo come i santi vengono rappresentati dai grandi artisti ispirati.

Io amo molto ad esempio un quadro di Murillo: San Tommaso da Villanova e i poveri (Londra, Wallace Colletion, rappresentato nella foto).
E' un quadro altamente ispirato che ci induce alla meditazione e alla contemplazione.

Domandiamoci: se guardo la  scena, la vivo, entro nel quadro, prendo il posto del povero, cosa accade?
Cosa mi rimarrà nel cuore e nella mente? L'obolo o il gesto del santo?
Cosa provo, mi sento nutrito da quello sguardo di santità?
Prendo il posto degli altri poveri: cosa accade?
Prendo il posto dell'ecclesiastico che tiene la tiara e guarda il santo: cosa accade?
Prendo il posto del santo: cosa accade dentro di me?
Cosa comunica la gestualità del santo? Quel suo chinarsi verso l'altro?

E' solo elemosina o è qualcosa di più, è nutrimento, un sostegno, è un chinarsi protettivo verso l'altro?  E' un farsi prossimo dell'altro?
Il potere del gesto, la grazia del gesto, del gesto che ci rende "prossimi" dell'altro.
Del gesto che ci trasforma e ci induce a restituire.
Il gesto ricevuto induce ad una restituzione, il povero magari rimarrà povero ma non sarà più un poveraccio, un dis-graziato, sarà un uomo consapevole della propria grazia e contagerà gli altri.

Il gesto di grazia trasforma: come il piccolo Bruce, vogliamo restituire forza e protezione, non vogliamo più essere piccoli ed indifesi, vogliamo essere Batman.

Per contro, osserviamo la gestualità in auge in molti programmi televisivi: gesti scomposti, aggressivi, invasivi, totalmente privi di grazia. Cosa ci comunicano, cosa proviamo se non ansia e irritabilità?
Eppure, funzionano. Perché? Ormai vi è chiaro, esperti dell'arte del non conforme (vedi vari post); sappiamo che la manipolazione avviene rendendoci ansiosi e irritabili, sottraendo energia e consapevolezza; togliendoci la grazia ci tolgono la forza. Insomma, si vuole che restiamo tutti come il piccolo Bruce, povero e indifeso.

Che fare allora?
La prima mossa l'abbiamo fatta, abbiamo osservato la differenza e siamo in grado di scegliere e poi possiamo praticare.
Praticare la meditazione con mudra, i gesti carichi di energia presenti in varie tradizioni yogiche.
Avrete sicuramente visto immagini delle divinità induiste, e soprattutto del Buddha in meditazione, compiere dei gesti con le mani; ebbene esistono mudra per ogni situazione emotiva ed esistenziale e vi sono molti buoni manuali che descrivono codesta pratica.
Pochi minuti al giorno ed il corpo acquisterà una nuova grazia ed una rinnovata energia.
Provate.

Anche stavolta ci siamo divertiti a far incontrare personaggi diversi: Batman  e Murillo, San Tommaso da Villanova e il Buddha; tutto all'insegna del non conforme.
Ripeto, osservate e meditate e ... fatevi trovare pronti quando si accederà il bat-segnale.


Straf.