venerdì 29 novembre 2019

PRATICA: IL DIRITTO DI SOGNARE OVVERO LA REVERIE COME PRATICA SAPIENZIALE


I filosofi non sognano più, gli psicologi non lo hanno mai fatto, gli psicoanalisti nei sogni si sono persi, gli artisti  e i poeti sognano sempre meno.
Un ingenuo realismo regna sovrano.
Un realismo di facciata ci inchioda alla passività, all'accidia dello status quo.
Un realismo illusorio che ci priva del sapore-sapienza  della vita.
Un realismo che riconosce come legislatore unico il mercato, maestro di ogni illusione e manipolazione.
Contro tutto ciò l'opera di Gaston Bachelard è un potente rimedio.
Già… Bachelard (1884- 1962)...  questo filosofo della scienza e della poesia, per lo più dimenticato.
Lui rivendica ai filosofi il diritto di sognare, perché sognare è un diritto e, in qualche modo, anche un dovere, un dovere del pensiero libero e creativo.
Lui propone un sogno particolare però, la reverie che non è un semplice sogno.
Cos'è la reverie? E' difficile dirlo: è sogno, fantasticheria, fantasia, creazione poetica, sguardo sognante sulla realtà.
La reverie come capacità di contattare l'universo
.....
La reverie è un fenomeno spirituale troppo naturale - troppo utile all'equilibrio psichico - perché venga trattata come una derivazione dal sogno, perché la si classifichi nella serie dei fenomeni onirici.
(La poetica della reverie).

Si, la reverie è tutto questo e ancora di più, è un esperienza poetica e scientifica allo stesso tempo, è una dimensione sapienziale, filosofica e fantastica.
Quello che però io propongo non è la  semplice lettura dell'autore ma l'attività stessa della reverie come pratica sapienziale.
Ma in cosa consiste in realtà?
Lo illustrerò un poco alla volta e ... pian piano la Reverie prenderà forma e ci porterà a nuovi sapori del vivere.
Per ora seguiamo Bachelard che segue Chagall.

Chagall, questo veggente, disegna la voce che parla.
In effetti, Chagall mi ha riempito le orecchie di luce, ha dato al mio udito la vista.
...
Senonché tutto  è Paradiso agli occhi di chi sa vedere,  di chi ama vedere. Chagall ama il mondo, perché sa guardarlo; ma soprattutto perché ha imparato a raffigurarlo.
(Il diritto di sognare).

Impariamo a guardare il mondo, impariamo a guardarlo in un modo nuovo, profetico, carico di colori come Chagall, impariamo a sognare, impossessiamoci del diritto di esercitare l'alchimia della reverie.
Un poco alla volta...
Ci ritorneremo....


Straf.


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venerdì 22 novembre 2019

PRATICA: AUROBINDO OVVERO IL NON CONFORME IV


Continuiamo con la nostra pratica del non conforme.
La volta scorsa eravamo rimasti in piedi, come Bahubali, non conformi a nessuno schieramento, estranei ai conflitti intorno a noi.
(vedi il post non conforme  III).
Questa estraneità ci ha permesso di radicarci: aumentando la nostra energia,  la  nostra consapevolezza, la nostra creatività.

Bene, ma non basta.
Non possiamo stare in kayotsarga- mudra in eterno.  
Le pratiche ascetiche indicano la via, ma non sono la via.
La via è vivere nel  quotidiano, qui e ora.
I maestri del passato sono importanti ma è necessario integrarli con quelli più recenti.

Un grande maestro del novecento è stato Sri Aurobindo, ideatore del purna yoga, lo yoga integrale.
Personaggio semplicemente straordinario.
Indiano di nascita, occidentale di formazione, internazionale di spirito. Ha girato il mondo imparando oltre che l'ovvio inglese: l'italiano,  il tedesco, il francese e lo spagnolo, tanto da leggere i rispettivi classici in ciascuna lingua.
Anche con le lingue antiche non se la cavava male: greco, latino e naturalmente il  sanscrito.

Ma non è stato solo un grande erudito ed un geniale filosofo;  è stato  anche un grande attivista per l'indipendenza dell'India e soprattutto un maestro illuminato che ha saputo coniugare gl'insegnamenti orientali in chiave moderna e comprensibile anche agli occidentali.

Fondò un Ashram (comunità) a Pondicherry in India e lo diresse con la sua compagna, Mirra Alfassa, chiamata da tutti semplicemente Mére (madre).   
Nella foto lui e Mére.
Il suo insegnamento è troppo vasto perché lo si possa affrontare in  questa sede, anche se su tale maestro avrò modo di tornarvi.
Il suo yoga integrale è una modalità attuale per raggiungere gli alti livelli di coscienza in una società complessa come la nostra.

Ma vediamo come Sri Aurobindo ci può aiutare nel nostro percorso del non conforme.
Il punto da capire è che l'asana (la postura) non è un fatto meramente fisico.
Non è neanche un fatto mentale o psicologico, ma è un fatto esistenziale, ontologico.
Dobbiamo comprendere che in ogni nostro gesto, pensiero ed azione c'è un attività globale.
Se abbiamo imparato ad usare il Syat, (il può essere), se abbiamo imparato a distaccarci, a non essere reattivi,  ora è venuto il momento di prendere una posizione (asana) nelle situazioni della  vita.
Se abbiamo imparato ad essere immuni (o quasi) dalle manipolazioni, se abbiamo imparato a non farci coinvolgere nelle discussioni sterili, è giunto il momento di prendere delle posizioni (asana).
Prendere posizione non significa schierarsi (anche se in certi casi è ovvio che è necessario).
Prendere posizione ha a che  fare con il proprio essere nel mondo.
Di fronte a certe situazioni dobbiamo domandarci: "io di fronte a questa situazione come mi pongo? Il mio operato, le mie azioni, il mio atteggiamento, il mio pensiero, come funziona? Contribuisco ad un miglioramento oppure ad un peggioramento di codesta situazione?"
"La mia posizione, il  mio atteggiamento, reca beneficio o danno agli altri?"
"La mia posizione è una chiusura egoistica o è un apertura all'incontro e all'evoluzione?"

Il punto è non piegare il corpo al volere dell'ego, il punto è liberare la coscienza dai condizionamenti che ci fanno soffrire e fanno soffrire gli altri.
Bisogna diventare consapevoli delle proprie parole: "che parole uso e in che tono le uso".
Bisogna osservare i pensieri le azioni ed il carattere, ovvero quali caratteristiche assumo in maniera automatica.
Tutto ciò genera una postura che va armonizzata. 
Ogni gesto va armonizzato... ops ... sto cadendo nel non conforme V...

Diventare consapevoli della propria "postura" è un lavoro su di sé, un sé che però non è astratto e avulso della realtà che lo circonda.
Il mondo spesso ci riserva un avversa fortuna ma, per parafrasare il poeta, come reagisco agli strali dell'avversa fortuna? insomma sempre per dirla alla Shakespeare: to be or not to be, that is the question.
E' un problema di essere, tutto qui.

Aurobindo è stato un attivista per l'indipendenza dell'India ma anche un maestro illuminato.
E' stato uno studioso ma è stato in grado di andare molto oltre lo studio.
E' stato un maestro integrale, veramente olistico, termine oggi aimè inflazionato.
Forse noi siamo lontani dall’ essere come lui, ma non importa, il lavoro è uguale per tutti: "Io come mi pongo? Dov'è la mia anima?" (lavorare ancora sul fantozzometro, vedi articolo).

Il lavoro è questo, la quarta fase del non conforme.
Questa pratica porta pian piano ad attivare il nostro guru interiore.
Un guru privo di enfasi e di toni altisonati, un guru semplice e pacifico, un guru che ci rende sempre  meno conformi, sempre più liberi.

Straf.


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sabato 16 novembre 2019

PRATICA: SIMEONE, PNL, ACCOGLIENZA E BEATITUDINE


Nel descrivere la meditazione “accoglienza e beatitudine” avevo sostenuto  che tale pratica è presente, con diverse modalità, in quasi tutte le tradizioni spirituali.
L'essere umano ha bisogno di rappresentazioni; ha difficoltà a concepire  il divino in termini astratti, per questo le varie tradizioni hanno creato delle meditazioni basate sulla visualizzazione.
Va sempre ricordato che la visualizzazione, come anche le frasi ripetute, sono un supporto utile per superare i nostri limiti ma non sono il fine.
Il divino, in qualsiasi modo lo si voglia intendere, non ha caratteristiche definite.
Varie tradizioni buddiste propongono spesso  la visualizzazione, dove è un particolare Buddha o Bodhisattva a manifestarsi ed ad entrare nel corpo del meditante.
La tradizione taoista, più restia ad usare immagini antropomorfe, spesso usa diversi tipi di luce.
Nella cristianesimo è ovviamente il Cristo a prendere forma.
In questa sede voglio proporvi un testo che descrive  l’accoglienza del Cristo.
E' un testo di Simeone il Nuovo Teologo. 
E' un testo che propone nei propri seminari Robert Dilts.
Si, Robert Dilts proprio lui, uno dei maestri della PNL.
Perché la PNL quando vuole andare in profondità non esclude la spiritualità anzi la ricerca.
Spesso in Italia questo lo dimentichiamo.
Il testo in questione è citato in appendice al volume di Robert Dilts e Robert McDonald: Tools of Spirit (in Italia: PNL per lo Spirito edito da PNL ITALY).
Ma chi era questo Simeone il Nuovo Teologo?
Il testo di Dilts ci trasmette solo la data di nascita e  quella di morte.
In conformità al mio non essere conforme, e nel cercare accostamenti improbabili ai più, prendo come fonte d'informazioni una catechesi di Papa Benedetto XVI, sì proprio lui, il papa emerito.
Nella sua grande opera di divulgazione della spiritualità cristiana il Papa si è occupato anche di questo personaggio.
Le sue catechesi sono reperibili anche sul web..
Sappiamo che fu un monaco del Cristianesimo orientale e nacque  in Asia minore nel 949 e morì nel 1022.
Fu un uomo di grande spiritualità, una spiritualità tutta centrata sull'amore, sull'amore che trasforma.
Questa trasformazione è frutto di una duplice azione: la nostra capacità di aprire il nostro il cuore al divino, e del divino stesso che opera in noi malgrado noi.
Nonostante le grandi difficoltà della vita si sentì sempre come un ptochos philàdelphos, un povero che amava i fratelli  manifestando sempre una grande sapienza e compassione.
Ma ora ecco il testo di Simeone il Nuovo Teologo proposto da Dilts e McDonald.


Ci risvegliamo nel corpo di Cristo
mentre Cristo risveglia i nostri corpi,
e la mia umile mano è Cristo. Egli
entra nel mio piede, ed è infinitamente me.

Muovo la mano e meravigliosamente
la mia mano diventa Cristo, diventa tutto ciò che è Lui
(perché Cristo è unico ed indivisibile, privo di divisioni nel suo essere
divino.)

Muovo il piede, e all'improvviso
appare Lui in un lampo di luce.
Le mie parole sembrano blasfeme? Allora
apri a Lui il tuo cuore.

e abbandonati ad accogliere Colui
che così profondamente si sta aprendo a te.
Che se genuinamente Lo amiamo,
ci risvegliamo nel corpo di Cristo.

dove tutto il  nostro corpo, dovunque,
ogni sua recondita parte,
si realizzerà nella gioia di essere Lui
ed Egli ci renderà totalmente reali,

e tutto ciò che è dolore, tutto ciò
che ci sembrava cupo, duro e abietto,
storpio, brutto, irreparabilmente
guasto, sarà da Lui trasformato

e  riconosciuto come unità, come bellissimo,
 e risplendente nella Sua luce,
come l'Amatissimo ci risvegliamo
nelle  più remote parti del corpo. 

E' una pratica di risveglio che ci permette di superare le nostre più antiche paure: come quelle di essere blasfemi, di non essere degni di accogliere il divino che in realtà ci accoglie e ci sostiene.
Si tratta come sempre di provare e vedere cosa succede, quanto riusciamo a gustarci in  profondità questa nuova sapienza.
Provate a fare questo tipo di esperienza con Simeone il Nuovo Teologo.

Straf.

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mercoledì 13 novembre 2019

RICOMINCIARE: TRA ABRAMO E TROISI


La figura di Abramo è sicuramente una delle figure più complesse, controverse ed affascinanti.
Ebrei, cristiani e mussulmani hanno in comune il padre Abramo, e su di lui sono stati scritti fiumi d'inchiostro. Chi ha fatto il liceo si ricorderà l'interpretazione di Kierkegaard sul sacrificio di Abramo del figlio Isacco.
Ma qual è il fascino che rende vivo Abramo ancora oggi?
Partiamo da una Sura del Corano.
 Ibrahim non era né ebreo, né nazareo, ma un puro credente...
(S. III, 67).
Cosa significa? La questione è certo complessa, ma possiamo dire che Abramo (Ibrahim nel Corano) è un credente in un monoteismo, in un divino non  del tutto noto e rivelato, è un credente puro con contenuti ancora da definire.
Abramo è figlio di un costruttore di idoli;  viene da una cultura idolatra eppure rompe con questa tradizione.
Sente un comando del Signore: Lekh Lekhà, locuzione ebraica che sta per tu vai.
Ma andare dove?
E poi perché il Signore parlò solo a lui?
Ma siamo sicuri che parlò solo a lui? Qui le interpretazioni rabbiniche e Kabalistiche si sprecano.
Forse non parlò solo a lui, forse Dio parlava a tutti ma solo lui fu in grado di ascoltare. Ma come ascoltare quando non c'è ancora una tradizione, una modalità di ascolto?
Ma come sapere se le chiamate sono giuste, se queste chiamate ci ordinano cose antiche come i sacrifici umani?
Anche in questo caso le interpretazioni abbondano ma al di là di tutto questo rimane un fatto innegabile: Abramo a fatica iniziò ad ascoltare.
Per questo Abramo è il Padre Abramo, è il padre di tutti noi, è il padre dell'ascolto,  è il padre della coscienza, è il padre del rinnovamento, è il padre della trasformazione.
Lui trasforma il suo nome grazie all'ascolto.
In ebraico il suo nome originale è Avram ma diventa Avraham, riceve la lettera He come segno di comunanza e patto  con il divino.
(Nella versione italiana CEI della Bibbia Abramo acquista una o da Abram ad Abramo, Genesi, 17; 5).
Tutte le volte che dobbiamo rinnovarci, che dobbiamo ripartire,  il Padre Abramo è fonte d'ispirazione.
Non è importante se dobbiamo partire da zero o da tre come Troisi, sarà sempre un confronto con la nostra coscienza, con la nostra capacità d'ascolto.
In realtà Troisi e Abramo sono più simili di quanto si possa immaginare: entrambi manifestano perplessità e stupore di fronte alle situazioni ma riescono in qualche modo ad uscirne sempre fuori grazie ad una integrità profonda, spesso estremamente sofferta ma comunque fondante.
Tutte le volte che come Troisi ci domandiamo: A ch'già fa? (non ho la più pallida idea della grafia corretta) ma nonostante tutto vogliamo rinnovarci, stiamo meditando sul Padre Abramo.
Dobbiamo avere coraggio e fare una riflessione.
Oggi non è un problema per nessuno considerare Dante un patrimonio dell'intera umanità. Inizialmente era un poeta fiorentino,  poi è stato considerato un poeta italiano, poi europeo, oggi è un poeta dell'intera umanità
Così Abramo non lo si può più considerare né ebreo, né cristiano o mussulmano; Abramo rappresenta l'intera umanità, Abramo siamo noi al di là delle personali definizioni.
Tutte le volte che dobbiamo ricominciare, da zero o da tre non importa, noi siamo Abramo, il Padre Abramo è in noi.
E' in noi come attività fondante e di rinnovamento dell'umanità.
Senza la capacità di rinnovare e ricominciare non siamo umani perché, come direbbe il  poeta

Foste non fatti a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.
(Inferno, XXVI, 119-120)

Se non vogliamo arrenderci alla  brutalità del perenne uguale, meditiamo sulla figura del Padre Abramo e apriamoci al rinnovamento.
Se vogliamo lasciarci alle spalle sofferenze, antichi legami famigliari, antichi schemi mentali fatti di idolatrie e feticci,  meditiamo sul Padre Abramo.
Ogni tanto lasciamo il vecchio per il nuovo, rompiamo gli schemi dei vecchi idoli e Lekh Lekhà, andiamo via, verso il  nuovo, verso una nuova sapienza, verso un nuovo sapore.


Straf.

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venerdì 8 novembre 2019

PRATICA: ACCOGLI E SII BEATO


Questa pratica è l'ideale completamento della precedente (lascia andare e si beato) e si articola anch'essa in tre parti.
  1. Una premessa "metafisica".
  2. Una meditazione.
  3. Una riflessione con messa in "pratica".
E' ugualmente impegnativa ma vi porterà ad assaporare un profondo cambiamento nella vostra vita.

1) Premessa.
La premessa ha sempre il suo fondamento nella Kena Upanishad.
Nel testo, abbiamo visto che il Brahaman non è possibile definirlo, di conseguenza viene chiamato semplicemente “Quello”.  

Il Brahaman è largamente conosciuto col nome Tavanam (Quello). Pertanto si deve meditare su di Lui in quanto Tavanam (Quello).
Colui che conosce il Brahaman come tale è amato da tutti gli esseri.

Naturalmente viene da domandarsi come sia possibile meditare su ciò che non si può definire.
Infatti non si può.  Il pensiero tende ad arrestarsi e si ha una strana sensazione, si diventa vuoti.
Vuoti però si è pronti ad accogliere il divino.
Il divino così com'è, privo di definizioni, semplicemente Tavanam (Quello).


2) Meditazione. Accogli e sii beato.
Sedetevi in una posizione stabile possibilmente a terra su dei cuscini; per chi riesce il loto o il mezzo loto sono la posizione ideale, altrimenti qualsiasi posizione che vi permetta una stabilità, anche su una sedia purché con la schiena eretta.
Concentratevi sul respiro, senza modificarlo, osservate solo.
Quando il respiro è quieto e voi siete quieti si può  iniziare la meditazione vera e propria.

La meditazione consiste nel pronunciare mentalmente alcune frasi ed associarle ad un tipo di respiro.
Le frasi contengono un'azione (un verbo) che descrivono l'azione del divino che entra nel nostro essere.

La prima frase è:
Entra dentro il mio essere
Quando  mentalmente pronunciamo l'azione entra pratichiamo una profonda inspirazione ed espansione assaporando la sensazione di accoglienza.
Gustiamoci il  senso di beatitudine e gratitudine.
Dev'essere proprio un'apertura del nostro cuore e del  nostro intelletto all'accoglienza del divino.

Quando pronunciamo la parola essere espiriamo profondamente e sentiamoci pervasi da questa presenza.
Se abbiamo bisogno di un supporto possiamo immaginare l'entrata del divino sotto forma di luce o di qualcosa di analogo.
L'importante è il senso di pienezza e beatitudine.
Il vuoto diventa pieno e viceversa, il divino (Quello) semplicemente scorre in noi. 
E' un accogliere che disfa ogni dolore del passato.

La seconda frase è
Illumina il mio essere
Ogni frase predica un'azione che il divino opera in noi.
Esempio.
Nutri il mio essere
Sana il mio essere
Fortifica il  mio essere
Guida il  mio essere
Sostieni il mio essere
Benedici il  mio essere
Etc

Non ci sono limiti alle azioni del divino e delle frasi che possiamo usare.
E'  una meditazione che veramente ci spinge a sperimentare l'espressione Tat tvam asi (Tu sei Quello).
Accogliendo poco a poco il divino possiamo dire a noi stessi: Tu sei Quello e sperimentarci come manifestazione del divino.
Iniziate per pochi minuti al giorno, e  via  via aumentate il tempo della pratica sino a  superare i quaranta minuti, lasciando sempre più  spazio al silenzio che sarà sempre più beatitudine.

Una volta che vi siete stabilizzati sui quaranta/ cinquanta minuti praticate la  meditazione ogni giorno per tre/ quattro settimane.
Vi renderete conto che non avrete neanche più bisogno di pronunciare le frasi per sentirvi nutriti.
Osservate i benefici.

Questa meditazione è presente in varie forme in moltissime tradizioni spirituali, avremo modo di tornarci sopra con ulteriori varianti, per ora assaporate questo nutrimento.


3) Riflessione e pratica.
Sperimentare questa meditazione ci porta a fare delle  riflessioni e a trasformarle in un' ulteriore pratica.
Abbiamo sperimentato un profondo stato di consapevolezza e gratitudine, questa gratitudine nasce dall'aver lasciato da parte per un momento l'ego e aver accolto l' Essere nel nostro essere .
Questa meditazione però ha un effetto collaterale particolare: se io sono il divino, se il divino opera in me, malgrado le mie miserie, è inevitabile che  questa azione sia presente anche negli altri.
Sorge quindi una domanda, cruciale, terribile: sono disposto ad accettare il divino qualsiasi forma assuma? In qualsiasi essere si manifesti?
Sono disposto a dire Tu sei Quello anche quando vedo un malato,  un deforme, un pazzo, un criminale ed altro ancora?

Non si tratta di buonismo.
Non è un sentimentalismo astratto.
E' la realizzazione della frase del testo
Colui che conosce il Brahaman come tale è amato da tutti gli esseri.
Già, amare ed essere amati anche nella dimensione dell'impossibile.
La riflessione e la messa in pratica è quindi questa: "Cosa accetto, cosa rifiuto, cosa mi inibisce, cosa mi blocca, nell'accettare l'altro e quindi anche me stesso come parte del divino?"
Domandiamocel costantemente, ogni volta che critichiamo e giudichiamo noi e gli altri.

Certo è dura. Il nostro ego vive di giudizi. Non si tratta di reprimerli, diventerebbero solo più forti e subdoli. Osserviamo: solo consapevolezza.
E' una  missione in qualche modo impossibile.
Ma il gioco è questo.
Tat svam asi. Tu sei quello.
Forse non riusciremo a baciare i lebbrosi come Gesù o San Francesco d'Assisi. Forse non riusciremo a baciare le pustole degli appestati come Santa Caterina da Genova.
Poco importa.
La strada è quella, non c'è meta, la meta è la via.
E' la via dell'accettazione, prima verso le situazioni, (un occhiata alla pratica dell'accettazione) poi verso noi stessi,  poi verso gli altri, allora l'io/l'altro si assottiglia ed il Brahaman compare.
Provate e vedete cosa accade.
Tat svam asi.

Straf.

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lunedì 4 novembre 2019

RECENSIONE: DODICI REGOLE PER LA VITA


12 Regole per la vita.   

Un antidoto al caos.

Di
Jordan Peterson.
My Life 2018.


E' un libro ruvido, spigoloso come i veri libri sapienziali.
Jordan Peterson è uno psicoterapeuta di formazione cognitivista ma il suo libro ha poco della psicoterapia ordinaria. Certo c'è la sua grande esperienza professionale, e si vede.

La sua narrazione però va ben oltre che la dimensione clinica.
A meno che per "clinica" non s'intende tutta la condizione umana.
Condizione umana che viene narrata e analizzata con un taglio che ricorda molto la dimensione sapienziale biblica, peraltro assai spesso citata.
Il Siracide, il Qoelet,  Solzencyn, Nietzsche, Eliot, Kierkegaard e molti altri s'incontrano dando vita ad un percorso di sopravvivenza tra le dinamiche moderne.

Il libro si dipana con una speranza di fondo, una speranza minimale ma fondamentale.
La speranza in questione è che "se le cose vanno male ciò dipende da noi".

Può sembrare tragica e autopunente e invece no.
Perché se le cose  dipendono in qualche modo da me qualcosa posso fare ma se dipende dalla struttura, dall'Essere, allora davvero non c'è speranza.

Sapienzialmente non cade mai nell'ingenuità opposta ovvero che, se dipende da me posso fare tutto, come spesso sostengono i fautori d'improbabili legge attrattive.
No. Il mondo è complesso, spesso appare  come un caos che ci opprime e ci  travolge ma non di meno è possibile fare delle scelte di fondo e rendere la nostra vita migliore.

Seguendo questo assunto l'autore propone 12 percorsi sapienziali ognuno concentrato in una massima (regola) che da titolo al capitolo corrispondente.

Lo ripeto è un libro spigoloso, non sempre si riesce ad essere d'accordo con lui ma d'altra parte, come diceva mio padre,  la ragione si dà ai fessi non ai saggi.
In una  dimensione sapienziale è sicuramente un libro da sperimentare.

Straf.

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