giovedì 31 ottobre 2019

PRATICA: BAHUBALI, OVVERO IL NON CONFORME iii

Nei precedenti post abbiamo imparato i benefici del "non conforme".
Praticando il non conforme ci sentiamo sempre più liberi dalle manipolazioni e con più energia a disposizione.
Ora vi proporrò una nuova situazione per praticare il "non conforme" ed una nuova tecnica.

Tra tutti i vari possibili schieramenti che vanno dalla politica al calcio, ne esiste uno più radicale di tutti: è il derby tra ottimisti e pessimisti, ovvero tra coloro che vedono il bicchiere mezzo pieno e quello  che lo vedono mezzo vuoto.

In questi casi siamo di fronte ad una vera e propria manipolazione.
Perché è una manipolazione? Semplice: si basa sulla semplificazione estrema  e sull'inibizione del ragionamento.
Vediamo perché.

Consideriamo innanzi tutto che vedere il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno non cambierà di una virgola la nostra realtà; insomma non solo è un approccio sbagliato, ma diciamolo: da fessi.
E' un approccio da fessi perché non ci aiuta a ragionare e a valutare le cose.  
Non ci dice nulla sulle dimensioni del bicchiere…  è meglio un boccale da birra di un litro riempito a  metà piuttosto che un bicchierino colmo.
Non ci dice nulla sul contenuto del bicchiere: acqua, vino, birra, aranciata, cognac, lassativo, veleno per topi, varechina, sciroppo per la tosse...
Insomma quello che serve è essere lucidi e comprendere la situazione;  essere ottimisti o pessimisti non cambia di molto le cose.
Si dice che l'ottimista sia più propenso al successo, il pessimista alla saggezza.
Balle.
Si obietterà che vi sono fior di studi in merito che spiegano i due atteggiamenti.
Sarà, ma la cosa non cambia di molto; tali studi servono per lo più a far finanziare le ricerche dei dipartimenti universitari, quindi tutto ciò è utile a chi è pagato per studiare questo argomento.  Funziona proprio così, lo so, ci sono passato nei dipartimenti universitari…   All’atto pratico  è meno  utile del sapere chi ha  vinto lo scudetto nel '56 oppure conoscere  la distanza tra la stella Sirio e la Terra.

Le variabili nelle situazioni umane sono moltissime; il nostro atteggiamento è fondamentale ma non è mai riconducibile ad una etichetta.
A sostegno di questa tesi convocherò  due grandi personaggi dei fumetti, i due pards Tex Willer e Kit Carson. Il primo è un incontenibile ottimista, il secondo è un brontolone pessimista. Carson si lamenta spesso dell'inguaribile ottimismo del pard e Tex gli risponde: "ci guadagno qualcosa a non esserlo?"
Già il discorso non fa una piega.
Il fatto è che i due se la cavano sempre a dispetto della situazione e indipendentemente dall'essere ottimisti o pessimisti. Se la cavano  sempre perché non si fanno condizionare né dalla situazione, né dalle loro convinzioni.

Nelle situazioni disperate Tex spera in un inaspettato arrivo del figlio Kit con il pard Tiger Jack, magari alla testa di una ventina di scalmanati guerrieri navajos; Carson si vede già all'inferno a spalare carbone… ma entrambi, nel frattempo, sparano alla grande con le loro '45.  

Il punto è questo: essere lucidi, determinati e sparare dritto.
Questo dipende da noi, se poi arrivano Kit Willer, Tiger Jack e guerrieri navajos, tanto meglio.

Entriamo meglio nella dinamica pessimismo e ottimismo.
A scuola ad esempio ci hanno rifilato la palla  che Leopardi e Schopenhauer siano due pessimisti, Leibniz un ottimista.
E' proprio vero?
Syat, forse, può essere, in un certo modo è vero.
Se però mi fermo all'etichetta, perdo la possibilità di comprendere gli autori.
Sono autori che, guarda caso, hanno scritto opere enormi.
Lo Zibaldone (Leopardi) Il mondo come volontà e rappresentazione (Schopenhauer) I saggi di Teodicea (Leibniz).  Sommandoli sono migliaia di pagine fitte fitte;  che fatica studiare, che fatica comprendere ... non ne vale la pena, tanto sono due pessimisti (sfigati) e un ottimista (pirla).

Avevo una collega che riduceva il tutto a poche battute di spiegazione dicendo agli studenti che basta ricordare pessimista e ottimista;  insomma come diventare idioti.

Sui social la semplificazione va alla grande e lo schieramento pessimista / ottimista è tra i più forti.
Ci sono persone che  si reputano intelligenti e postano ogni genere di osservazioni sempre sulla falsariga  che il mondo è una cacca. Già, il mondo è una cacca quindi è inutile impegnarsi, inutile fare figli,  inutile fare questo, codesto e quello.
Viene spontaneo chiedergli: "se è tutto una cacca perché continuate a vivere e a rompere i cosiddetti"? Niente, loro continuano a distillare le loro perle di cacca-saggezza.

Per contro ci sono quelli che inondano il web con il buonismo più melenso e stucchevole, per poi irritarsi come una biscia pestata qualora qualcuno fa  loro notare che la vita è piena di digfficoltà.

La pratica sapienziale si basa sul sapore della vita, sul sapore autentico. Può essere un sapore amaro ma  reale, non plastificato.
Il sapore è variegato e non è mai solo cacca. La cacca c'è ma non si mangia, si mangia il cioccolato.
La diatriba pessimisti/ottimisti è il miglior modo per diventare ottusi, per  semplificare senza far lo sforzo di comprendere, leggere studiare, amare, vivere.
Attenzione a costoro: tra i manipolatori sono i peggiori.
Il loro ottimismo/pessimismo non è autentico, è solo una finta, è solo un modo per ottenere un consenso facile e senza sforzo. Tanti like. Il pessimismo poi prende tanti like, è considerato più “intellettuale”!

Vogliono che rinunciamo alla nostra consapevolezza e intelligenza per dar loro credito.
Non diamolo.
Per neutralizzare costoro eccovi una pratica.
Anche questa è ricavata dalla tradizione jainista.
La fonte d'ispirazione è Bahubali (conosciuto anche come Gommatésvara).
Viene rappresentato completamente nudo, in piedi mentre medita, con rami e radici che gli circondano le gambe.
In India ne esiste anche una enorme statua di ben diciotto metri ed è oggetto di profonda venerazione.
Secondo la narrazione Bahubali  fu il figlio di Rishabhanatha, il primo dei santi profeti del janismo chiamati tirthamkara ovvero i costruttori del guado.
Visse in un periodo di costanti conflitti. Non aderì a nessuno di essi e iniziò la sua pratica ascetica. Prese la postura kayotsarga-mudra, la postura dell'abbandono del corpo. Ritto in piedi, nudo con le mani lungo i fianchi con lo sguardo verso l'orizzonte.
Secondo la narrazione rimase in tale postura per dodici anni sino a che, letteralmente "mise le radici", (infatti è raffigurato con rami e radici) e raggiunse l'illuminazione.
Tale pratica meditativa in piedi rimase un’attività molto diffusa tra i jaina.
Sento già il borbottio di lamentela: "ma come solo per un po' di diffuso pessimismo devo mettermi nudo come un verme e meditare per anni?"
No, certo che no.
I santi,  gli asceti, mostrano una via; siccome noi siamo un poco lenti di comprendonio la enfatizzano sino alle estreme conseguenze per farci capire.
Non è necessario meditare per anni e anni, come non è necessario farsi crocifiggere.
Il punto è comprendere.
E' importante comprendere la direzione  e praticare senza esagerare, insomma la via di mezzo, quella consigliata dal Buddha.
Qui la cosa che  va compresa è il radicamento.
Impariamo a radicarci.
Di fronte a chi ci mostra un mondo da schifo o chi ce lo mostra idilliaco, fermiamoci.
Solo per  qualche minuto.
Dedichiamo qualche minuto al radicamento quotidiano.
Stiamo fermi, ritti, abbandoniamo il corpo.
Abbandoniamo, non reprimiamo. Diventiamo consapevoli del corpo e delle sue tensioni: lasciamole andare.
Lasciamo andare il bisogno di essere reattivi a qualsiasi imbecillità che ci circonda.
Pochi minuti di meditazione quotidiana stando in piedi e ritti.
Sentiamoci radicati al suolo, allarghiamo lo sguardo verso l'orizzonte.
Sentiamo i piedi radicati e la mente elevata.
Terra e cielo, e noi in mezzo, in beatitudine.
Sarà un'ascesi, piccola ma potente e liberatoria.
E poi, una volta lasciato andare il bisogno reattivo, entriamo in modalità comprensione.
Comprendiamo con compassione questo grande bisogno di approvazione che regna tutt'attorno a noi, ma attenzione a chi ci marcia sopra e vuole manipolarci.

Entrando nella complessità della comprensione ci accorgiamo che le etichette non ci aiutano a comprendere né gli autori né le situazioni.
Leopardi è pessimista? Forse, ma sicuramente uno scrittore  eroico nel suo pessimismo, ed è ottimista nel suo senso tragico della vita e della sua complessità,  ed è molto, molto altro ancora. Non lo si può banalmente definire pessimista.

Ci sono situazioni dolorose e  tentativi di catarsi del dolore stesso.
Non fatevi prendere né dall'ottimismo, né dal pessimismo, ma imparate a comprendere e ad agire di conseguenza;  come Tex e Carson usate le vostre '45 ovvero le vostre potenzialità.
Non siate ottimisti o pessimisti sull'economia: leggetevi un manuale di economia.
Non siate ottimisti o pessimisti per il futuro dei vostri figli o  dei  vostri allievi: date loro sostegno, amore e cultura.
Solo per pochi minuti al giorno, fate come Bahubali, fermatevi, ergetevi e radicatevi.
L'energia scorrerà:  voi sarete sempre meno conformi e sempre più liberi.
Provate; vi saluto con un verso del Namokar Mantra dei jaina.
Namo Loe Savva Sahunam  (Mi inchino a tutti gli asceti).   

Straf

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giovedì 24 ottobre 2019

BOUVARD E PECUCHET, OVVERO L'ANTICOACHING


Esiste un libro che io considero fondamentale per chi voglia praticare la via del coaching.
E' un libro in qualche modo non conforme, non rientra cioè tra la bibliografia canonica del coaching, l'autore non è  Dilts né Withmore, né qualcuno di tal gruppo.
L'autore è quel genio incontenibile di Gustave Flaubert.

Lo so, molti non se lo aspettano  l'autore  di Madame Bovary  in una riflessione sul coaching, eppure è  così.
Il libro, come si può dedurre dal titolo, è Bouvard e Pécuchet.
Non è un libro semplice.
Non che sia di difficile lettura, al contrario è un libro agile e spassoso, spesso esilarante.

Ma la difficoltà è proprio in questa dimensione comica o meglio tragicomica che spesso trasporta il lettore da uno stato di euforia  ad uno stato di frustrazione e depressione nel seguire le imprese dei due protagonisti.
Inoltre è un libro incompiuto e lascia un poco di amaro in bocca.
E' comunque un testo geniale.

Ma chi sono questi Bouvard e Pécuchet?
Sono due brave persone.
Lavorano entrambi come copisti: Bouvard per una ditta commerciale, Pécuchet al  ministero della Marina.
I due  s'incontrano e scoprono non solo di fare lo stesso mestiere ma di avere le stesse ambizioni culturali e imprenditoriali; entrambi sono divorati da una grande sete di sapere.

L'eredità di Bouvard cambia loro la vita e i due possono dedicarsi alle loro aspirazioni.
E qui iniziano le loro tragiche avventure.
Si dedicano con uguale e disastroso insuccesso praticamente in ogni campo dello scibile umano e imprenditoriale.
Da coach sorge quindi spontanea la domanda: perché falliscono?
Cosa c'è che non va in loro?

Per prima cosa detestano il loro onesto lavoro che poi sono costretti a riprendere.
Questo è un punto spesso sottovalutato.
Il disprezzare il proprio lavoro senza provare quella gratitudine verso quel lavoro (in fin dei conti non tanto male) che comunque ti permette di vivere fa scattare un meccanismo strano.
Il disprezzo porta a sopravvalutare a idealizzare le alternative a quel lavoro.
L'idealizzazione crea tutta una serie di suggestioni che impediscono la pianificazione concreta delle alternative.

La suggestione è una brutta bestia. Inizialmente può essere utile ma se rimane persistente è finita.
Esistono persone drogate di suggestioni: si lasciano appunto suggestionare dalle proprie intuizioni e lì vi rimangono pensando che il più sia fatto.

Ma le cose non girano così; il lavoro in realtà non è ancora iniziato, le difficoltà non sono state messe in conto, la concretezza manca… e così quando l' ingenuo ardore viene meno, si passa ad una nuova impresa, ad una nuova suggestione e così via.

La maggior  parte di imprese commerciali in Italia fallisce ancor prima di iniziare veramente.
La pianificazione rimane spesso una suggestione infantile.
I Bouvard e i Pécuchet sono pericolosi, agiscono sempre in coppia; se sono soli cercano inevitabilmente un complice per trasformarlo in un loro doppio, perché un po' Bouvard o Pécuchet lo siamo tutti, e ci vuol poco ad attivare il Pécuchet che c'è in noi.
E' inevitabile: le suggestioni attirano.

Ho un amico, un caro amico che attiva il Pécuchet che è in me e vi assicuro faccio fatica a neutralizzarlo: è capace di passare dal nulla, al nulla ponderato, per finire al nulla realizzato.
Il suo motto è: "l'alternativa potrebbe essere", il  problema è che l'alternativa non viene mai analizzata, né programmata; dura solo il tempo di un'altra suggestione.  E così via.
Stiamo attenti dunque.

Naturalmente nel capolavoro di Flaubert c'è molto di più e quindi vi consiglio la lettura del testo.
Possiamo comunque cercare di comprendere questo “di più” utilizzando la distinzione che propone Robert Dilts  tra coaching con la c minuscola e coaching con la C maiuscola.
Il Coaching con la C maiuscola non mira solo a raggiungere dei singoli obiettivi in uno specifico ambito, ma crea una consapevolezza della complessità  dei vari livelli cognitivi ed esistenziali.

Un coaching consapevole non può essere separabile da un'analisi dei processi culturali di una società. Bisogna in qualche modo anche essere consci dei limiti che il sistema culturale offre.
Flaubert compie una critica spietata di un modello culturale basato sull'ingenuità, sulle nozioni libresche, sul tecnicismo ingenuo.

E' necessario quindi  stare attenti a quei manuali, libri,  corsi e simili che in realtà attivano il Pécuchet che è in noi.
E' facile cadere nella suggestione di essere imprenditori, manager, geni del mercato e simili.
Un sano e disincantato umorismo alla Flaubert sarà un utile antidoto a molta faciloneria in circolazione.
Per oggi basta così... anche perché suona il cellulare ... temo che sia il mio amico "Bouvard".

Straf.

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martedì 22 ottobre 2019

PRATICA: LASCIA ANDARE E SII BEATO


Questa pratica si articola in tre parti.
  1. Una premessa metafisica
  2. Una meditazione
  3. Una riflessione con messa in pratica
E' un'attività impegnativa, ma vi porterà ad assaporare una beatitudine profonda e, soprattutto, a rovesciare molte cose della vostra vita.

1) Premessa.
La premessa ha il suo fondamento nella Kena Upanishad. 
Si tratta di un grande testo del pensiero indiano.
In questo scritto si enuncia l’ineffabilità e l'insondabilità del principio divino: il Brahaman.

Gli occhi non  possono raggiungerLo e neppure la mente
...
Ciò che la parola non può rivelare, ma che rivela la parola, questo solo è il Brahaman. Sappilo.
Ciò che non si può comprendere con la mente ma che comprende la mente, questo solo è il Brahaman. Sappilo.
Non è certo ciò che la gente venera in questo mondo come tale.

Questo testo sostiene quindi che noi non possiamo comprendere il divino, ed è  stoltezza ogni tentativo di farlo. La sapienza consiste pertanto non nel comprendere ma nel farsi "comprendere";  far sì che la nostra mente sia "compresa" nel divino ovvero sia parte del processo divino.
Un altro principio, sostiene la scrittura, è che nel Brahaman vi è racchiuso ogni tipo di potere.

   Si narra che il Brahaman conseguì una vittoria per gli dei. Nonostante il merito della vittoria fosse del Brahaman, gli dei si esaltarono  e pensarono: questa vittoria spetta solo a noi, a noi spetta la gloria.

Gli dei Agni (il fuoco) e Vayu (il vento) incontrarono il  Brahaman per reclamare la loro vittoria ma il Brahaman li mise alla prova dicendo ad Agni di bruciare una pagliuzza ed a Vayu di soffiarla via.
Gli dei non ci riuscirono.
Questo perché il potere di ogni cosa non è nell'ego, neppure nell'ego degli dei,  ma solo nel Brahaman, nel divino.
Nella Kena Upanishad c'è ovviamente molto di più, e la useremo per altre meditazioni, ma per il nostro lavoro può bastare questo.
Ricapitoliamo quindi i due principi:
·       La forza non sta nell'ego.
·       L'intento non è comprendere il divino ma farci "comprendere".

2) Meditazione. Lascia andare  e sii beato.
Sedetevi in una posizione stabile possibilmente a terra su dei cuscini; per chi ci riesce il loto o il mezzo loto sono la posizione ideale, altrimenti qualsiasi posizione che vi permetta una stabilità, anche su una sedia purché con la schiena eretta.
Concentratevi sul respiro, senza modificarlo,  solo osservatelo.
Quando il respiro è quieto e voi siete quieti si può  iniziare la meditazione vera e propria.
La meditazione consiste nel pronunciare mentalmente alcune frasi ed associarle ad un tipo di respiro.

La prima frase è
Tu sei l'Essere.
Quando  mentalmente pronunciamo il tu, con una profonda inspirazione ed espansione, assaporiamo la sensazione di espanderci al di là del nostro ego. Dev'essere proprio un’uscita, non di testa ma dal proprio ego.
E' un lasciare andare che scioglie ogni tensione.
Pronunciando la parola essere (con espirazione) assaporiamo un nutrimento, siamo usciti da noi, abbiamo contattato il Brahaman e ritorniamo in noi con meno ego e più essere.
Gustiamoci il  senso di beatitudine.

La seconda frase è
Tu sei il mio essere.    
In questo caso la parola mio è la consapevolezza del nutrimento.

La meditazione continua con una serie di coppie di  frasi, che noi stessi decideremo, sempre accompagnate dal respiro consapevole.
Tra una coppia di frasi e l'altra il  silenzio, che diventerà via via sempre più profondo.
Ogni frase predica una qualità del divino.

Vediamo qualche esempio.
Tu sei sapienza / Tu sei la mia sapienza.
Tu sei saggezza / Tu sei la mia saggezza.
Tu sei forza / Tu sei la mia forza.
Tu sei amore / Tu sei il mio amore.
Tu sei consapevolezza / Tu sei la mia consapevolezza.
Tu sei beatitudine / Tu sei la mia beatitudine.
Tu sei gioia / Tu sei la mia  gioia.
Tu sei nutrimento / Tu sei il mio nutrimento.
Tu sei salute / Tu sei la mia salute.
Tu sei salvezza / Tu sei la mia salvezza.
Tu sei felicità / Tu sei la mia felicità.
Etc. e concludere di nuovo con
Tu sei l'Essere. Tu sei il mio Essere.

Non ci sono limiti alle qualità del divino e delle frasi che possiamo usare.
E'  una meditazione che veramente ci spinge a sperimentare l'espressione Aham Brahamasmi. Io sono il/nel Brahaman.
Lasciando andare poco a poco l'ego per entrare nelle qualità universali dell'Essere, lo sperimenteremo veramente come Sat Cit Ananda -  Essere Coscienza e Beatitudine. 

Iniziate per pochi minuti al giorno, e  via  via aumentate il tempo della pratica sino a  superare i quaranta minuti, lasciando sempre più  spazio al silenzio che sarà sempre più beatitudine.
Una volta che vi siete stabilizzati sui quaranta/ cinquanta minuti praticate la  meditazione ogni giorno per tre/ quattro settimane.
Vi renderete conto che non avrete neanche più bisogno di pronunciare le frasi per lasciare andare il vostro ego e riposarvi in uno stato di beatitudine consapevole.
Osservate i benefici.

3) Riflessione e pratica.
Sperimentare questa meditazione ci porta a fare delle  riflessioni e a trasformarle in un' ulteriore pratica.
Abbiamo sperimentato un profondo stato di consapevolezza e beatitudine; questa beatitudine nasce dall'aver lasciato da parte per un momento l'ego ed esserci nutriti dall'Essere.

In questa meditazione abbiamo anche rovesciato un concetto atavico che ci possiede e ci rovina la vita. Il concetto di "mio".
In questa meditazione il temine mio non ha nulla a che fare con il possesso ma con il nutrimento.
Io non possiedo l'Essere, è l'Essere che possiede me, è in Lui il potere.
Ricordate la storia di Agni e Vayu?
Quindi "mio" non è un possesso ma una fruizione, il  mio diventa una partecipazione, quindi partecipo a qualsiasi potenzialità/possibilità del divino e ne sono nutrito.

Riflessione e pratica: "come utilizzo la parola mio, possiedo o mi nutro?"
Se dico “la mia compagna” vuol dire che pretendo di possederla come un oggetto o che in lei mi nutro e mi arricchisco?
Lo stesso vale per i figli, gli amici, il lavoro, gli oggetti, i concetti, etc.
C'è possesso o nutrimento?
Cosa provo quando dico la parola mio?
Il mio lavoro… c'è gratitudine o invece è un "che palle!"?

Sottoponete a costante consapevolezza la parola mio nella vita di tutti i giorni, come la usate, cosa provate a livello di emozioni, sentimenti e pensieri.
Con questa pratica il senso del mio si rovescia come un calzino:  il  possesso diventa labile e l'energia fluisce.

Anche qui ho due estremi da proporre: Gesù e Gollum del Signore degli anelli.
Il piccolo personaggio della saga è posseduto dall'anello eppure dice il "mio tessoro!" "my precious!"
Il “mio malsano” funziona così: l'illusione del possesso si trasforma in possessione, in dipendenza assoluta.
Pensiamo a Gollum anche somaticamente: tutto accartocciato su se stesso.
E' la simbologia dell'avaro: contratto, incartapecorito su se stesso.
Pensiamo ora a Gesù in preghiera che dice Abba (Papà) mio; è tutto un apertura, è pura fruizione, è puro flusso, è comunione, è beatitudine.

Pensiamo alle guerre di religioni,  sono basate sulla falsa idea di un dio riducibile ad un idolo, ad un feticcio, il mio dio è diverso dal tuo, quindi ti uccido.
Follia del malsano possesso,  stoltezza in azione; noi non possediamo  il divino, possiamo solo farci comprendere e nutrirci.
In questo nutrimento possiamo solo che essere fratelli e nutrirci l'un l'altro.
Aham Brahamasmi.
Sat Cit Ananda.

Straf

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venerdì 18 ottobre 2019

RECENSIONE: Il corpo e la riparazione del sè.

Il corpo e la riparazione del sè.
Mindfulness e approccio corporeo in NeuroPsicosomatica.
Aples Italia, 2018.
di Silvia Ghiroldi

Un approccio integrato si legge nell'introduzione e nella copertina posteriore.

In genere non credo agli approcci integrati.
Non perché l'idea d'integrazione sia sbagliata, anzi, in sé è una buona cosa, ma il fatto è che nella pratica questi approcci si rivelano spesso disastrosi.

L'integrazione è sovente un'accozzaglia eclettica e mal digerita di metodi eterogenei;  oppure l'integrazione si risolve in un desiderata d'intenti per  lo più campata in aria.
Integrare è difficile, richiede metodo e costanza, richiede soprattutto la capacità filosofica di passare attraverso i metodi,  e richiede altresì  la qualità umana di peregrinare attraverso varie esperienze.
Quindi in genere diffido della parola "integrazione".

Ci sono però delle eccezioni.
Il fatto di aver conosciuto l'autrice, molti anni fa, quando eravamo entrambi  pellegrini nel Villaggio Globale, mi ha indotto a prendere il libro, a sfogliarlo attentamente, a comprarlo, a leggerlo e a meditarlo.

E' bello, a volte, essere smentiti.
Si, ogni tanto l'integrazione funziona.
Ogni evento raro va segnalato.

Naturalmente si può obiettare che è un libro di terapia quindi per addetti ai lavori quindi poco "sapienziale".
Sbagliato.
Esistono libri che pur avendo un taglio particolare, in questo caso la terapia, hanno un valore che esula dal taglio specifico.
Un libro di un grande esploratore ha un valore indipendentemente dal fatto che si sia messo piede su di una nave.
Il valore sta nell'esperienza che viene comunicata, nella sua modalità, nella sua misura, nella sua... sì ... sapienza.

E'  qui che l'autrice integra, integra esperienza personale, terapia, meditazione, suggerimenti ai terapeuti;  il valore sta proprio nel giusto dosaggio, è il dosaggio che dà il sapore, sapienza.
La meditazione ad esempio non è un qualcosa di posticcio e neanche un  ingenuo fideismo.

Quindi è un testo che consiglio non solo a psicoterapeuti, counselor o affini ma a tutti coloro che vogliono sperimentare  la sapienza della "misura".
La misura è una pratica sapienziale: è esercitarsi a dosare, a mirare all'essenziale, al chiaro, alla vera empatia.
Bé si, l'integrazione a volte funziona.
Misurate e integrate.

Straf.

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