lunedì 30 dicembre 2019

ANCORA LE PERSONE TOSSICHE: IL RIMEDIO "EGIZIO "PER I PESSIMISTI DELLE FESTE


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Durante il periodo natalizio le persone si mischiano e antichi amici e parenti vari riemergono come tanti zombi.
Fra questi riemerge puntuale il "pessimista contagioso".

Magari è stato invitato con  il solito buon proposito: "è un peccato che mi sia allontanato da Caio, in fondo è un bravo Cristo", ma la ricomparsa del fantomatico Caio ci riporta subito alla dura realtà: mi sono allontanato perché costui è un personaggio deleterio, quindi sì, sarà anche un bravo Cristo, ma molto, mooolto in fondo.

Vediamo un po' meglio le caratteristiche tossiche di codesto personaggio.
  1. E' assolutamente privo di empatia.
  2. Essendo privo di empatia non ascolta.
  3. Non ascoltando parla sempre lui/lei,  quindi è logorroico/a.
  4. Parlando sempre, di conseguenza vive nella convinzione che il mondo giri intorno a lui/lei.
  5. E' ateo non per ragioni filosofiche ma semplicemente perché se dio esistesse sarebbe lui/lei.
  6. Essendo un dio mancato pensa di sapere tutto.
  7. Pensando di sapere tutto non ha mai né letto, né studiato nulla, pertanto non sa una mazza e rientra nella categoria dei pallari all'ennesima potenza (vedi articolo persone tossiche).
  8. Ma soprattutto è un contagioso pessimista.

Perché queste persone sono così tossiche e in genere riemergono nel periodo natalizio?
Nel periodo delle feste riaffiora lo stolto imperativo: "sii felice e divertiti a tutti i costi". 

Tale imperativo fa emergere frustrazioni profonde più o meno a chiunque, ma codesti personaggi sono diventati bravi ad usare le proprie frustrazioni come armi per colpire gli altri, pertanto costoro riappaiono nella scena come antichi zombi.
Sono zombi astuti però.
La loro astuzia fa leva sul senso di colpa altrui, i quali spesso, provano un senso di mal riposta compassione verso costoro e, per espiare i propri  peccati, reali o presunti, li coinvolgono nelle loro attività.

Se avete già fatto i conti con il senso di colpa forse avrete già imparato ad evitare codesti guasta-feste ma, essendo il mondo assai vasto e, nelle vacanze,  molto interattivo, è assai probabile che vostro malgrado li incontriate.

Perché sono così deleteri?
Alle loro spalle è facile riderci sopra, è facile sminuirli, è facile considerali dei bravi cristi e magari lo sono pure, ma la loro presenza rimane comunque devastante; vediamo perché.

Il loro effetto devastante è il pessimismo indotto.
Abbiamo visto che il praticante del "non conforme" non si fa attrarre dalla polarità pessimismo / ottimismo.
Il non conforme pensa ed agisce al di fuori di questa polarità che ci sottrae energia e consapevolezza.

La questione è qui diversa.
Il loro non è un vero e proprio pessimismo manifesto, è più sottile.
Noi stiamo in mezzo agli altri per avere un mutuo riconoscimento al di là delle cose che diciamo.
In una cena piacevole, dopo il terzo bicchiere di buon Chianti, possiamo fare i discorsi più catastrofici di questo mondo, ma ciò non ci porta ad essere pessimisti, tristi o irritabili, perché "sapienzialmente" ci godiamo cena e compagnia.

La caratteristica di molta letteratura sapienziale è proprio questa: la consapevolezza della presenza del dolore nel mondo e la caducità dell'esistenza è un invito a godere della presenza altrui, perché costoro sono ciò che la vita ci invia. 
Sono preziosi ai nostri occhi perché da loro veniamo riconosciuti e grazie a loro interagiamo con il mondo. Non sarà un mondo perfetto ma è il "nostro mondo" e merita di essere vissuto al meglio per quello che è.

I guasta-feste, con la loro mancanza di empatia, la loro puntigliosità, la loro voglia di criticare tutto e tutti creano uno stato di tensione, di disconoscimento. Questo meccanismo sottile ci induce ad uno strano pessimismo, ad una irritabile tristezza difficile da colmare, tutto ciò s'insinua in noi e ci induce allo sconforto e ad una perenne svalutazione di tutto e tutti. Insomma ci hanno contagiato.
Quindi è importante imparare ad evitarli e in mancanza di ciò a neutralizzarli.

Attenzione però.
Nell'evitamento non propongo un ostracismo di costoro basato su quell'ipocrita imperativo "sii felice e divertiti a tutti i costi".
Rimane cosa importante saper invitare anche le persone spinose, è una sciocca  ipocrisia pensare di selezionare le persone con un criterio di improbabile senso dell'allegria.
No, il punto è un altro.
Costoro ci irritano perché noi riconosciamo il disagio che si portano dentro mentre loro lo negano attraverso un senso di ingenua superiorità.
E allora che fare?

Antidoto omeopatico.
Quando costoro, inevitabilmente toccheranno il discorso della decadenza dei nostri tempi, che è il peggiore di tutti i tempi, ridimensionate la cosa.
La letteratura sapienziale egizia ci propone un testo dove viene riportato un dialogo tra un suicida e il suo ba (anima).

Il protagonista è disperato perché l'antico mondo, con le sue certezze religiose, è in profonda crisi e quindi vuole suicidarsi per raggiungere la pace insieme agli dei.
L'anima fa notare che tale crisi dovrebbe metterlo comunque in guardia anche verso i riti funebri e le credenze ultraterrene e lo invita, pertanto, a  vivere la vita così come è.
Ascoltami dunque:
ecco, è bene ascoltare per la gente.
Segui un giorno felice!
Dimentica il dolore!
Il disperato non ascolta la voce dell'anima, non desiste dal suo proposito e si getta tra le fiamme.

Il testo è databile intorno al 2200 A.C. dunque più di tremila anni fa, è quindi ben lontano da noi, eppure parla di crisi di valori e fine di un’epoca.
Niente di nuovo sotto il sole direbbe il Qohelet, già ... in qualche modo è così.
Il senso di smarrimento è antico quanto l'uomo, anche l'uomo più antico ha nostalgia di un periodo ancora più antico dove, a suo dire, tutto era regolato in un modo armonico.

Il pessimismo sapienziale però funge da antidoto, da rimedio omeopatico, la consapevolezza del dolore funge da stimolo a godersi il sapore-sapere della vita.
Questa dimensione sapienziale usiamola per mettere in riga costoro.
Se costoro nella loro arrogante ignoranza pensano di trasmetterci qualcosa, calmateli: è già stato detto! Dite loro di stare tranquilli, non sappiamo se Dio ci sia o meno ma di certo non sono loro.

Dire loro di ascoltare il loro ba (anima) e di animarsi, la vita è breve e non la si può passare con i rompic... magari con le persone infelici si, perché le possiamo sostenere ma con i rompic... proprio no.
Invitateli ad uno sforzo di umiltà e a pensare al testo egizio ... e se non basta... offrite loro (per dirla come Leopardi, Operette Morali) un bicchiere di un liquore generoso.


Straf.





   




   


sabato 14 dicembre 2019

RECENSIONE: IL POTERE EMOTIVO DEI GESTI


Il potere emotivo dei gesti
di Amy Cuddy
Sperling & Kupfer, 2016.               


E' un libro che ha avuto un successo mondiale, e anche a distanza di anni continua ancora a vendere,  tanto che in Italia è uscita una recente edizione economica.
Ma cos'ha di così straordinario questo libro, e perché lo si può inserire in un discorso di pratiche sapienziali?
E' un libro straordinario perché riesce a coniugare una grande semplicità ad una puntigliosa documentazione.
E' semplice nella narrazione; l'autrice non si fa scrupolo di raccontare le proprie vicende, anche le più dolorose, senza enfasi ma con naturalezza, ma il racconto è scandito da una documentazione precisa e rigorosa.
Il tutto assume spesso l'effetto di una rivelazione.
La rivelazione non è qualcosa di inaspettato ma, al contrario, è qualcosa che in qualche modo sapevamo già ma non osavamo né ammetterlo né tantomeno delinearlo.
Tutti  noi sappiamo quanto siano importanti la postura fisica e la gestualità del corpo per la propria vita eppure raramente ci soffermiamo a rimarcarlo in maniera consapevole.
La lettura di molti manuali sul linguaggio del corpo e della postura spesso non ci rivelano nulla di particolare, se non qualche piccola curiosità.
Il testo della Cuddy no.  
Lei ci rivela sempre qualcosa.
Ha la capacità di inserire la dimensione del corpo in molte situazioni e problemi.
E’ emblematica la trattazione del problema psicologico noto come " il complesso dell'impostore", complesso del quali tutti siamo stati in qualche modo vittima, autrice compresa.
E' quel complesso che ci fa sentire: non degni, non adeguati, non meritevoli della situazione in cui siamo inseriti.
Il modo in cui l'autrice lo affronta e lo inserisce della dimensione corporea ci rivela una situazione che in qualche modo conoscevamo ma che non eravamo in grado di delineare con lucidità.
Quanto detto sarebbe già sufficiente per inserire il libro in un discorso sapienziale; ma proviamo ad aggiungere qualcosa.
Nel preambolo di questo blog si era detto che il discorso "sapienziale" è un discorso sul "sapore"- "sapere" della vita.
Noi possiamo cogliere questo sapore nella misura in cui ci sentiamo degni di appartenere alla vita, all'esistenza.
E' un discorso di antropologia filosofica,  non in senso accademico ma in senso pratico: qual è  il mio posto nel mondo?
E' la domanda che precede ogni discorso sapienziale.
Il mio posto lo devo trovare per prima cosa nel corpo, nella postura.
La mia postura è  il mio essere nel mondo.
Io sono nel mondo, pur nella mia dimensione spirituale che trascende il mondo:  io sono nel mondo, ho il diritto ad esserci, ho il diritto ad abitarci.
Il mio essere nel  mondo è per prima cosa essere nel mio corpo.
Il corpo è la mia prima casa.
Per questo è così importante il complesso dell'impostore, perché è un complesso che nega il mio diritto ad essere nel posto in cui sono.   
La prima risposta sapienziale è quindi nel corpo e in tutte le conseguenze emotive che comporta.
Se vogliamo quindi gustarci tutta la sapienza del corpo, il libro della Amy Cuddy è un valido ausilio.


Straf.

martedì 10 dicembre 2019

LE PERSONE TOSSICHE PARTE II: IL FARAONE

Oggi affronteremo una categorie di persone tra le più tossiche di tutte: i faraoni.
I faraoni!? Direte voi… e chi sono? 
Quelli dell'antico Egitto?

Beh sì, in qualche modo sì ma solo per metafora.

Per comprendere la situazione  è utile la Bibbia, soprattutto i passi dell' Esodo dove viene narrato il confronto tra Mosè ed il Faraone.

Prima di tutto dobbiamo dire alcune cose molto semplici su come leggere la Bibbia.
Noi rimaniamo sempre spiazzati quando nel Vecchio Testamento incontriamo la parola “Dio”. Soprattutto in frasi quali: "E Dio rese ostinato il cuore del Faraone" (Esodo 13; 2).
Ad una lettura lineare una frase del genere suona come assurda, in quanto parrebbe che Dio sia in qualche modo malvagio e renda cattivo il Faraone.

Non è proprio così.
La Bibbia viene considerata un testo ispirato da Dio; ispirato, non dettato da Dio. Quindi l'uomo è parte integrante del processo sia narrativo che interpretativo.
La Bibbia è considerata parola di Dio nel suo complesso, ovvero nella sua totale dimensione narrativa, sapienziale, profetica.

Quando nel tessuto narrativo si parla di Dio, non lo si può considerare un protagonista fra tanti altri, sarebbe una bestemmia; Lui è al di sopra degli altri, Lui è la narrazione  nel suo insieme.
Per dirla alla Bateson: Lui è il sistema, non uno degli elementi del sistema.
Infatti nel testo originale non compare mai la parola Dio ma una parafrasi o il tetragramma JHWH.

Quindi quando leggiamo certe frasi è come se s'intendesse: l'ordine delle cose, l'ordine del sistema, e così via.
Seppure in una maniera arcaica è come se si delineasse una struttura narrativa che noi oggi chiameremmo scientifica, ovvero una narrazione comprensibile secondo delle leggi.
E’ importante comprendere bene questo aspetto.

Il confronto tra Mosè ed il Faraone va dunque letto come il confronto tra due modalità  di valori.
Mosè è colui che ascolta la propria vocazione profetica, ovvero la  voce profonda della coscienza che cerca di renderci liberi.

Mosè da valore all'ascolto, all'esigenze proprie e del suo popolo.
Un ascolto che libera la coscienza.
Il Faraone invece è colui che ascolta la voce del possesso: tutto per lui è cosa.  Cosa da  possedere.

Il faraone in realtà non è di per sé malvagio.
Crede anzi di fare il  bene per il suo popolo;  ma la sua è una credenza basata sul possesso.
Il possesso indurisce il cuore, ci rende ostinati, e questo è un dato di fatto.
E Dio rese ostinato il cuore del Faraone. Es. 13;2.

E' l'ordine delle cose, è l'ordine del possesso a indurire il cuore e a renderlo ostinato nella sua sete di possesso.
Questo indurimento genera delle piaghe atroci (Le piaghe d'Egitto).
Quando noi induriamo il cuore, intorno a noi si genera dolore.

Il Faraone allora prova a mollare la presa, concede la libertà a Mosè e ai suoi,  ma poi ci ripensa perché il senso del possesso ha il sopravvento; ha il sopravvento  l'ostinazione.
Si getta all'inseguimento delle cose perdute e viene travolto.
E' così... il senso del possesso ci travolge come le acque del Mar Rosso.
Carri, cavalli, cavalieri, fanti, tutto è travolto; il senso del possesso ha questo epilogo.

E quindi? Direte voi?
I Faraoni esistono.
Genitori, mariti, mogli, amanti, amici, datori di lavoro, politici, sfruttatori vari, ricattatori morali si comportano spesso come dei faraoni che ci vogliono  possedere come oggetti.
Dobbiamo imparare a riconoscere il loro senso di possesso e  prendere le distanze.
Dai Faraoni intorno a noi dobbiamo imparare a difenderci.
A questo scopo le pratiche del non conforme sono di grande aiuto.
Esiste però anche un Faraone interiore: impariamo ad individuarlo.
Noi stessi possiamo diventare Faraoni volendo possedere gli altri, volendo possedere sempre più oggetti, o persone ridotti ad oggetti.
Spesso ci ostiniamo ad inseguire un amore passato, e in questo inseguimento perdiamo noi stessi. Come il Faraone veniamo travolti dal Mar Rosso della rabbia, del risentimento e del rammarico. 

C'è un Faraone che vuole possedere gli altri ma anche e soprattutto la nostra anima, ciò che ci anima, (vedi articolo il Fantozzometro) rendendoci ostinati nelle nostre sofferenze solo perché sono note.
Possiamo  diventare Faraoni di noi stessi con  pretese contrastanti che soffocano le nostre potenzialità rendendoci schiavi  di ambizioni spesso smodate, o al contrario di pretese così modeste che ci portano ad una perenne auto-svalutazione. 
  
Esiste però anche un Mosè interiore, non solo un Faraone.
Secondo i cabalisti esiste un Bechinat Moshe, una qualità "mosaica" dentro ciascuno  di noi che è in grado di affrancarci dalle nostre prigioni interiori.
Impariamo ad ascoltarla.
Impariamo il coraggio di dire al nostro Faraone interiore il ritornello della  famosa canzone: Let my people go!

Sperimentiamo il senso pieno di poterlo dire e pensare.
Esprimiamo il coraggio di lasciare andare le nostre autentiche potenzialità verso una nuova dimensione creativa: la  terra promessa.
Ricordiamo inoltre che le meditazioni descritte: "Lascia andare e sii beato" e "Accogli e sii beato" sono sempre di grande aiuto per queste situazioni. 


Straf.

martedì 3 dicembre 2019

IL "PALLARO" , L'AMORE UNIVERSALE E MOZI


Fra le persone "tossiche" abbiamo incontrato il pallaro (vedi articolo).
Caratteristica del pallaro abbiamo appurato essere quella di millantare credito, in qualsiasi modo a poco prezzo.

Un modo semplice per ottenere un poco di attenzione è quello di farsi portavoce e sostenitore dell'amore universale.

Che c'è di male? Direte voi. 
In se nulla, se non fosse che dietro questa etichetta ci sia solitamente poco amore e poco universo.
In genere con la scusa dell’amore universale si cerca di spacciare altro.
Quello che si cerca di ottenere con questo marchio sono due cose che possono essere tra loro o in alternativa o in integrazione.

La prima è il cercare di guadagnarsi una legittimazione spirituale: una parvenza da guru votato al bene superiore, all'amore universale appunto.
Si usa un tono melenso, pieno di buonismo e  falsa tolleranza, ma che è destinato a cambiare alla prima difficoltà. Alla prima difficoltà, di solito una critica,  il tono cambia e diventa quello di una biscia a cui hanno pestato la coda.

La seconda  legittimazione che si cerca di ottenere è quella sessuale; è certamente meno pericolosa e un poco ingenua, ma c'è chi la  usa. E' una speranza statistica: predicando l'amore universale prima o poi qualcuna/o disposto al sesso si trova.

Nulla vieta di combinare le due cose: un po' di pseudo spiritualità e un po’ di sesso possono migliorare l’umore...
Naturalmente continuerete a domandarvi cosa vi sia di male in tutto ciò.  In sé, niente:  uno può usare le strategie che  vuole per tirare avanti.
Il punto è un altro.

Il punto è che dobbiamo imparare a riconoscere le persone tossiche, e i pallari alla lunga lo diventano.
Se diamo troppo credito ai pallari finiremo per berci un sacco di fesserie e finiremo in storie decisamente pesanti.

E l'amore universale è una bufala?
No, certo che no, ma se seguiamo i pallari lo diventa.
E quindi ?
La prenderò alla lontana proponendo un personaggio: Mo-tze.
Mo- tze? Chi era costui?

Mo- tze (o Mozi  479 -381 a.C. date presunte) è stato il primo antagonista di Confucio, e fondò una sua scuola, detta dei cavalieri erranti, scuola che creò un alternativa a Confucio, ancora più dura del  taoismo.

Mozi non condanna i principi fondamentali del confucianesimo, quali hsiao  (la pietà filiale) e jen  (la benevolenza, l’altruismo), ma ha la pretesa di estenderli.

Confucio sosteneva quella che viene considerata la regola aurea comune a tutte le religioni ovvero: non fare agli altri quello che non vuoi che sia fatto a te. Non solo, ma ne proponeva una versione attiva, ovvero: fai agli altri quello che vuoi che sia fatto a te.
Ma Mozi voleva andare oltre; tali principi infatti dovevano essere applicati in maniera universale senza gerarchie di sorta.
L'amore verso i genitori doveva essere rivolto non solo verso i propri genitori ma anche verso i genitori dei propri amici, e così via.
L'etica doveva uscire dal particolarismo per estendersi via via a tutto il genere umano.

Mozi e i suoi seguaci furono dei maestri di logica, e coniugarono etica, logica e spiritualità.
Sostenevano che  l'amore universale ha un suo fondamento nel nome stesso di uomo, inteso come genere umano.
Argomentava infatti così.

Uno può dirsi cavallerizzo se è in grado di cavalcare alcuni cavalli. Non è certo richiesto di dover cavalcare tutti i cavalli per dirsi cavallerizzo. Ma non è così per l'amore. Se si ama un essere umano ma se ne odia un altro, non si ama nessun essere umano. Per amare bisogna  essere in grado di amare tutti gli uomini.

Tosto, è vero?     
Tosto ma logico.
L'amore, universale o no, non è un principio astratto, ma qualcosa di concreto che va coniugato con costanza e impegno verso tutte le persone intorno a noi, per poter uscire dal nostro particolarismo, dal nostro egoismo.
E' una pratica per niente melensa; è dura ma è utile.

La teoria di Mozi sembra aver precorso, date le analogie,  quella dell'utilitarismo proposta dal filosofo Geremia Bentham.

L'ho presa alla lontana, è vero, sono andato in Cina ad oltre duemilacinquecento anni fa.
Spesso è necessario distanziarsi un po' per vedere meglio.

Avremo modo di ritornare a discorsi a noi più vicini come l'amore predicato da Gesù. Avremo modo di vedere  che la parabola del  buon samaritano è fra le  più fraintese.
Per adesso basta questo per difenderci dall'amore universale dei pallari e dalla loro tossicità.

Se ne incontriamo uno chiediamogli cosa fa concretamente per i propri genitori o per coloro che per età potrebbero esserlo.
E se non ci convince possiamo poi mandarlo a fan Mozi.


Straf


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