martedì 3 marzo 2020

SAPORE D'ARTE

Anche stavolta iniziamo con una domanda secca: abbiamo un luogo dove abitare in pace?
Per luogo non intendo la propria casa ma la propria città, il proprio spazio urbano.
Riformulo quindi la domanda: abbiamo un posto nella nostra città che ci fa sentire a casa ed in pace?
Un luogo dove assaporiamo il gusto della nostra città?
Questa domanda che forse non ci siamo mai posti fa nascere una serie di riflessioni.

Riflessioni che sottendono ad altre domande; una di queste è: qual è il nostro rapporto con l'eredità culturale delle nostre città?
Qual è il nostro rapporto con gli spazi architettonici: piazze, strade, ponti, vedute; con gli edifici: chiese, palazzi, torri, conventi, fortezze, etc.; con i "riempimenti vari": fontane, colonne, monumenti, statue, etc.  ed ancora, con i luoghi adibiti alla conservazione e alla diffusione della cultura: musei, biblioteche, teatri e simili?
Ci sentiamo eredi del nostro passato?
E da questo passato siamo in grado di proiettare un futuro nuovo per noi e per le future generazioni?
Ho i miei dubbi.
  
Ma cosa vuol dire essere eredi? Nietzsche ci mette in guardia: ereditiamo anche le follie.
Credo che noi siamo dei cattivi eredi.
Vediamo perché.

Esiste una grossa bufala sul patrimonio artistico italiano.
Di volta in volta si dice che in Italia vi sia l’ 80% o il 70% o il 50% del patrimonio artistico mondiale. Il numero varia a seconda della idiozia che si vuole sostenere. A sostegno dell'idiozia di turno si spara la bufala percentuale di turno.
La cosa tragica è che nessuno contrasta tale bufala che oltre ad essere una bufala è un'idiozia evidente a chiunque.

E' un idiozia perché L'Italia non ha una stima precisa del proprio patrimonio artistico (quindi non sappiamo quanta "arte" ci sia in Italia) ma soprattutto non chiarisce in che modo e maniera si sia valutato (ammesso che sia possibile) il patrimonio culturale degli altri paesi; come se fosse una cosa da poco valutare il patrimonio di Egitto, Persia, India, Sud Est Asiatico ed Estremo Oriente, per non parlare ovviamente degli altri paesi europei. Insomma, il discorso percentuale non sta né in cielo, né in terra. Eppure, la bufala percentuale sopravvive. 

La semiotica ci insegna che le bufale sono significative.
La menzogna ha comunque un significato.
Esploriamo il significato di codesta bufala.
Connota il senso di che tipo di eredi siamo: distratti e sufficienti. Siamo così ricchi d'arte da non saperne  che fare.
Siamo o ci atteggiamo da "i più ricchi del mondo" di cultura ma in realtà di cultura siamo poveri.
Estremamente poveri.

Siamo poveri di cultura perché abbiamo trasformato l'arte in oggetto, in oggetto bruto senza spirito, quindi non la comprendiamo più.
Pertanto, di tale ricchezza non sappiamo che farcene, non sappiamo e non vogliamo averne più a che fare: un super mercato o un parcheggio è più apprezzato di una chiesa.
E' più apprezzato di una chiesa perché tutto il simbolismo che reca una chiesa ci è ormai ignoto: per comprenderlo dovremmo ritornare a scuola o rievocare gli antichi studi.
E noi non vogliamo tornare a scuola.
Il nostro motto è: "la scuola non serve a nulla!".
Si va a scuola solo per il pezzo di carta che a sua volta non serve a nulla, ma tant'è…  al titolo di dott. ci teniamo.


Lo stesso dicasi per la letteratura: non ci interessa più.
In molti paesi gli uomini politici fanno spesso riferimento ai classici della propria letteratura per risaldare lo spirito nazionale.
Gli uomini politici italiani no, è già tanto se si esprimono in un italiano comprensibile.

I film o serial televisivi americani che molti di noi, con sciocca alterigia disprezziamo, sono ricchi di riferimenti ai loro classici: Poe, Hawthorne, Whitmam, Melville, Twain, London, Scott Fitzgerald, Hemingway, tanto per dire i più noti.

Nei nostri no, sono finiti i tempi degli sceneggiati sui classici.
Sono finiti i tempi dei western all'italiana, spesso ritenuti impropriamente di serie B, dove gli autori s'ispiravano nel linguaggio e nei personaggi al Manzoni e spesso facevano qualche riferimento a Karl Marx. 
Se al cinema o in tv incontriamo qualche riferimento a Dante e la sua Commedia è di certo grazie ad un autore americano che ha letto Dante tradotto da Longfellow.     

Abbiamo accettato il fatto che l'arte abbia spesso divorato sé stessa.
Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini.
Recita il motto di Pasquino, quello che non hanno fatto i barbari lo fece la famiglia Barberini: antichi monumenti romani sono stati usati da cava per le opere rinascimentali.
Ora basta arte: che usino pure i monumenti attuali per cave di moderni super mercati con parcheggio adiacente poiché nella accidia sempre più diffusa, guai a camminare.

Non leggiamo le nostre città attraverso l'arte; le categorie di lettura sono emotivamente posteriori, spesso legate allo sviluppo economico.
Torino è la città fredda e industriale.
Milano è la città degli affari e della moda.
Genova è la città introversa dei mercanti parsimoniosi.

Esistono letture legate alla gastronomia od al folklore ma poche all'arte.
Persino Roma è più percepita come città della "dolce vita", del caos, dei politici e del Papa che per la sua arte.
Venezia per l'acqua alta ed il carnevale.
Anche Firenze, città d’arte per eccellenza, è spesso individuata superficialmente (e impropriamente)  come Rinascimentale ma di fatto non compresa per i suoi monumenti.

Quanti sono in grado di leggere emotivamente, con emozioni cioè storicizzate, il monito che monumenti come il Perseo del Cellini, il Ratto delle Sabine del Giambologna o L'Ercole e Caco di Baccio Bandinelli vogliono trasmettere?   
State certi che le vetrine di alta moda suscitano la maggior parte di emozioni, con grande rammarico di Stendal.

Eppure, questa incapacità di lettura è sintomo di una ferita.
Esistono traumi individuali e traumi collettivi.

La storia urbana è una storia collettiva di ferite e tentativi di risanamento.
E' il tentativo di rendere bello e pacifico uno spazio che spesso è stato conflittuale e violento.
All'arte è stato dato il compito di lenire, redimere, l'inaudita violenza della storia umana.
Violenza di cui l'arte è stata spesso parte in causa, sia per la vita violenta di molti artisti, sia perché l'artista una volta non era distinto dal costruttore d'armi e fortezze.

Nonostante ciò il valore salvifico della bellezza artistica rimane.
Dimenticare tutto ciò è nello stesso tempo dimenticare traumi e medicamenti.
Dimenticare tutto ciò, vuol dire dimenticare che lo spazio urbano e ciò che ci accoglie e ci cura.

Negare ciò ci porta ad andare incontro a nuovi traumi.
Il ponte Morandi di Genova è tragico simbolo di questo oblio.
Ci si è dimenticati che una città è fatta anche di collegamenti, di ponti.
E' ingenuo e stolto pensare che esista solo una "terapia" individuale per i traumi.

Esistono traumi collettivi: storici e geografici.
Per la dimensione collettiva è necessaria una "terapia" dell'anima urbana.
Ribadiamo la nostra definizione di anima: ciò che ci anima, ciò che ci rende vivi.

Cosa ci rende vivi nel nostro spazio urbano?
Quindi sappiamo nutrirci d'arte?
Sappiamo gustarci il sapore-sapienza dell'arte?
Proviamo, andiamo in giro per la nostra città.
Andiamo in giro con le nostre ferite, i nostri crucci e vediamo se la città ci risponde, ci sana, ci conforta.
E poi prendiamo un treno e andiamo in una città vicina, magari piccola; come ci accoglie alla stazione? Quale spazio ci offre?
Proviamo, facciamoci pellegrini dell'anima.
Pellegrini non turisti.
Pellegrini in cerca di risanamento.
Proviamoci. 


Straf.

Nessun commento:

Posta un commento