venerdì 8 novembre 2019

PRATICA: ACCOGLI E SII BEATO


Questa pratica è l'ideale completamento della precedente (lascia andare e si beato) e si articola anch'essa in tre parti.
  1. Una premessa "metafisica".
  2. Una meditazione.
  3. Una riflessione con messa in "pratica".
E' ugualmente impegnativa ma vi porterà ad assaporare un profondo cambiamento nella vostra vita.

1) Premessa.
La premessa ha sempre il suo fondamento nella Kena Upanishad.
Nel testo, abbiamo visto che il Brahaman non è possibile definirlo, di conseguenza viene chiamato semplicemente “Quello”.  

Il Brahaman è largamente conosciuto col nome Tavanam (Quello). Pertanto si deve meditare su di Lui in quanto Tavanam (Quello).
Colui che conosce il Brahaman come tale è amato da tutti gli esseri.

Naturalmente viene da domandarsi come sia possibile meditare su ciò che non si può definire.
Infatti non si può.  Il pensiero tende ad arrestarsi e si ha una strana sensazione, si diventa vuoti.
Vuoti però si è pronti ad accogliere il divino.
Il divino così com'è, privo di definizioni, semplicemente Tavanam (Quello).


2) Meditazione. Accogli e sii beato.
Sedetevi in una posizione stabile possibilmente a terra su dei cuscini; per chi riesce il loto o il mezzo loto sono la posizione ideale, altrimenti qualsiasi posizione che vi permetta una stabilità, anche su una sedia purché con la schiena eretta.
Concentratevi sul respiro, senza modificarlo, osservate solo.
Quando il respiro è quieto e voi siete quieti si può  iniziare la meditazione vera e propria.

La meditazione consiste nel pronunciare mentalmente alcune frasi ed associarle ad un tipo di respiro.
Le frasi contengono un'azione (un verbo) che descrivono l'azione del divino che entra nel nostro essere.

La prima frase è:
Entra dentro il mio essere
Quando  mentalmente pronunciamo l'azione entra pratichiamo una profonda inspirazione ed espansione assaporando la sensazione di accoglienza.
Gustiamoci il  senso di beatitudine e gratitudine.
Dev'essere proprio un'apertura del nostro cuore e del  nostro intelletto all'accoglienza del divino.

Quando pronunciamo la parola essere espiriamo profondamente e sentiamoci pervasi da questa presenza.
Se abbiamo bisogno di un supporto possiamo immaginare l'entrata del divino sotto forma di luce o di qualcosa di analogo.
L'importante è il senso di pienezza e beatitudine.
Il vuoto diventa pieno e viceversa, il divino (Quello) semplicemente scorre in noi. 
E' un accogliere che disfa ogni dolore del passato.

La seconda frase è
Illumina il mio essere
Ogni frase predica un'azione che il divino opera in noi.
Esempio.
Nutri il mio essere
Sana il mio essere
Fortifica il  mio essere
Guida il  mio essere
Sostieni il mio essere
Benedici il  mio essere
Etc

Non ci sono limiti alle azioni del divino e delle frasi che possiamo usare.
E'  una meditazione che veramente ci spinge a sperimentare l'espressione Tat tvam asi (Tu sei Quello).
Accogliendo poco a poco il divino possiamo dire a noi stessi: Tu sei Quello e sperimentarci come manifestazione del divino.
Iniziate per pochi minuti al giorno, e  via  via aumentate il tempo della pratica sino a  superare i quaranta minuti, lasciando sempre più  spazio al silenzio che sarà sempre più beatitudine.

Una volta che vi siete stabilizzati sui quaranta/ cinquanta minuti praticate la  meditazione ogni giorno per tre/ quattro settimane.
Vi renderete conto che non avrete neanche più bisogno di pronunciare le frasi per sentirvi nutriti.
Osservate i benefici.

Questa meditazione è presente in varie forme in moltissime tradizioni spirituali, avremo modo di tornarci sopra con ulteriori varianti, per ora assaporate questo nutrimento.


3) Riflessione e pratica.
Sperimentare questa meditazione ci porta a fare delle  riflessioni e a trasformarle in un' ulteriore pratica.
Abbiamo sperimentato un profondo stato di consapevolezza e gratitudine, questa gratitudine nasce dall'aver lasciato da parte per un momento l'ego e aver accolto l' Essere nel nostro essere .
Questa meditazione però ha un effetto collaterale particolare: se io sono il divino, se il divino opera in me, malgrado le mie miserie, è inevitabile che  questa azione sia presente anche negli altri.
Sorge quindi una domanda, cruciale, terribile: sono disposto ad accettare il divino qualsiasi forma assuma? In qualsiasi essere si manifesti?
Sono disposto a dire Tu sei Quello anche quando vedo un malato,  un deforme, un pazzo, un criminale ed altro ancora?

Non si tratta di buonismo.
Non è un sentimentalismo astratto.
E' la realizzazione della frase del testo
Colui che conosce il Brahaman come tale è amato da tutti gli esseri.
Già, amare ed essere amati anche nella dimensione dell'impossibile.
La riflessione e la messa in pratica è quindi questa: "Cosa accetto, cosa rifiuto, cosa mi inibisce, cosa mi blocca, nell'accettare l'altro e quindi anche me stesso come parte del divino?"
Domandiamocel costantemente, ogni volta che critichiamo e giudichiamo noi e gli altri.

Certo è dura. Il nostro ego vive di giudizi. Non si tratta di reprimerli, diventerebbero solo più forti e subdoli. Osserviamo: solo consapevolezza.
E' una  missione in qualche modo impossibile.
Ma il gioco è questo.
Tat svam asi. Tu sei quello.
Forse non riusciremo a baciare i lebbrosi come Gesù o San Francesco d'Assisi. Forse non riusciremo a baciare le pustole degli appestati come Santa Caterina da Genova.
Poco importa.
La strada è quella, non c'è meta, la meta è la via.
E' la via dell'accettazione, prima verso le situazioni, (un occhiata alla pratica dell'accettazione) poi verso noi stessi,  poi verso gli altri, allora l'io/l'altro si assottiglia ed il Brahaman compare.
Provate e vedete cosa accade.
Tat svam asi.

Straf.

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