Questa pratica è
l'ideale completamento della precedente (lascia andare e si beato) e si
articola anch'essa in tre parti.
- Una premessa
"metafisica".
- Una
meditazione.
- Una
riflessione con messa in "pratica".
E' ugualmente
impegnativa ma vi porterà ad assaporare un profondo cambiamento nella vostra
vita.
1) Premessa.
La premessa ha
sempre il suo fondamento nella Kena
Upanishad.
Nel testo,
abbiamo visto che il Brahaman non è
possibile definirlo, di conseguenza viene chiamato semplicemente “Quello”.
Il Brahaman è largamente conosciuto col nome Tavanam (Quello).
Pertanto si deve meditare su di Lui in quanto Tavanam (Quello).
Colui che conosce il Brahaman come tale è amato da tutti gli esseri.
Naturalmente
viene da domandarsi come sia possibile meditare su ciò che non si può definire.
Infatti non si
può. Il pensiero tende ad arrestarsi e
si ha una strana sensazione, si diventa vuoti.
Vuoti però si è
pronti ad accogliere il divino.
Il divino così
com'è, privo di definizioni, semplicemente Tavanam
(Quello).
2) Meditazione.
Accogli e sii beato.
Sedetevi in una
posizione stabile possibilmente a terra su dei cuscini; per chi riesce il loto
o il mezzo loto sono la posizione ideale, altrimenti qualsiasi posizione che vi
permetta una stabilità, anche su una sedia purché con la schiena eretta.
Concentratevi sul
respiro, senza modificarlo, osservate solo.
Quando il respiro
è quieto e voi siete quieti si può
iniziare la meditazione vera e propria.
La meditazione
consiste nel pronunciare mentalmente alcune frasi ed associarle ad un tipo di
respiro.
Le frasi
contengono un'azione (un verbo) che descrivono l'azione del divino che entra
nel nostro essere.
La prima frase è:
Entra dentro il mio essere
Quando mentalmente pronunciamo l'azione entra
pratichiamo una profonda inspirazione ed espansione assaporando la sensazione
di accoglienza.
Gustiamoci
il senso di beatitudine e gratitudine.
Dev'essere
proprio un'apertura del nostro cuore e del
nostro intelletto all'accoglienza del divino.
Quando
pronunciamo la parola essere
espiriamo profondamente e sentiamoci pervasi da questa presenza.
Se abbiamo
bisogno di un supporto possiamo immaginare l'entrata del divino sotto forma di
luce o di qualcosa di analogo.
L'importante è il
senso di pienezza e beatitudine.
Il vuoto diventa
pieno e viceversa, il divino (Quello)
semplicemente scorre in noi.
E' un accogliere
che disfa ogni dolore del passato.
La seconda frase
è
Illumina il mio essere
Ogni frase
predica un'azione che il divino opera in noi.
Esempio.
Nutri il mio essere
Sana il mio essere
Fortifica il mio essere
Guida il mio essere
Sostieni il mio essere
Benedici il mio essere
Etc
Non ci sono
limiti alle azioni del divino e delle frasi che possiamo usare.
E' una meditazione che veramente ci spinge a
sperimentare l'espressione Tat tvam asi (Tu sei Quello).
Accogliendo poco
a poco il divino possiamo dire a noi stessi: Tu sei Quello e sperimentarci come manifestazione del divino.
Iniziate per pochi
minuti al giorno, e via via aumentate il tempo della pratica sino
a superare i quaranta minuti, lasciando
sempre più spazio al silenzio che sarà
sempre più beatitudine.
Una volta che vi
siete stabilizzati sui quaranta/ cinquanta minuti praticate la meditazione ogni giorno per tre/ quattro
settimane.
Vi renderete
conto che non avrete neanche più bisogno di pronunciare le frasi per sentirvi
nutriti.
Osservate i
benefici.
Questa
meditazione è presente in varie forme in moltissime tradizioni spirituali,
avremo modo di tornarci sopra con ulteriori varianti, per ora assaporate questo
nutrimento.
3) Riflessione
e pratica.
Sperimentare
questa meditazione ci porta a fare delle
riflessioni e a trasformarle in un' ulteriore pratica.
Abbiamo
sperimentato un profondo stato di consapevolezza e gratitudine, questa
gratitudine nasce dall'aver lasciato da parte per un momento l'ego e aver
accolto l' Essere nel nostro essere .
Questa
meditazione però ha un effetto collaterale particolare: se io sono il divino,
se il divino opera in me, malgrado le mie miserie, è inevitabile che questa azione sia presente anche negli altri.
Sorge quindi una
domanda, cruciale, terribile: sono disposto ad accettare il divino qualsiasi
forma assuma? In qualsiasi essere si manifesti?
Sono disposto a
dire Tu sei Quello anche quando vedo
un malato, un deforme, un pazzo, un
criminale ed altro ancora?
Non si tratta di
buonismo.
Non è un
sentimentalismo astratto.
E' la
realizzazione della frase del testo
Colui che conosce il Brahaman
come tale è amato da tutti gli esseri.
Già, amare ed
essere amati anche nella dimensione dell'impossibile.
La riflessione e
la messa in pratica è quindi questa: "Cosa accetto, cosa rifiuto, cosa mi
inibisce, cosa mi blocca, nell'accettare l'altro e quindi anche me stesso come
parte del divino?"
Domandiamocel
costantemente, ogni volta che critichiamo e giudichiamo noi e gli altri.
Certo è dura. Il
nostro ego vive di giudizi. Non si tratta di reprimerli, diventerebbero solo
più forti e subdoli. Osserviamo: solo consapevolezza.
E' una missione in qualche modo impossibile.
Ma il gioco è
questo.
Tat svam asi. Tu sei quello.
Forse non
riusciremo a baciare i lebbrosi come Gesù o San Francesco d'Assisi. Forse non
riusciremo a baciare le pustole degli appestati come Santa Caterina da Genova.
Poco importa.
La strada è
quella, non c'è meta, la meta è la via.
E' la via
dell'accettazione, prima verso le situazioni, (un occhiata alla pratica
dell'accettazione) poi verso noi stessi,
poi verso gli altri, allora l'io/l'altro si assottiglia ed il Brahaman compare.
Provate e vedete
cosa accade.
Tat svam asi.
Straf.
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