martedì 22 ottobre 2019

PRATICA: LASCIA ANDARE E SII BEATO


Questa pratica si articola in tre parti.
  1. Una premessa metafisica
  2. Una meditazione
  3. Una riflessione con messa in pratica
E' un'attività impegnativa, ma vi porterà ad assaporare una beatitudine profonda e, soprattutto, a rovesciare molte cose della vostra vita.

1) Premessa.
La premessa ha il suo fondamento nella Kena Upanishad. 
Si tratta di un grande testo del pensiero indiano.
In questo scritto si enuncia l’ineffabilità e l'insondabilità del principio divino: il Brahaman.

Gli occhi non  possono raggiungerLo e neppure la mente
...
Ciò che la parola non può rivelare, ma che rivela la parola, questo solo è il Brahaman. Sappilo.
Ciò che non si può comprendere con la mente ma che comprende la mente, questo solo è il Brahaman. Sappilo.
Non è certo ciò che la gente venera in questo mondo come tale.

Questo testo sostiene quindi che noi non possiamo comprendere il divino, ed è  stoltezza ogni tentativo di farlo. La sapienza consiste pertanto non nel comprendere ma nel farsi "comprendere";  far sì che la nostra mente sia "compresa" nel divino ovvero sia parte del processo divino.
Un altro principio, sostiene la scrittura, è che nel Brahaman vi è racchiuso ogni tipo di potere.

   Si narra che il Brahaman conseguì una vittoria per gli dei. Nonostante il merito della vittoria fosse del Brahaman, gli dei si esaltarono  e pensarono: questa vittoria spetta solo a noi, a noi spetta la gloria.

Gli dei Agni (il fuoco) e Vayu (il vento) incontrarono il  Brahaman per reclamare la loro vittoria ma il Brahaman li mise alla prova dicendo ad Agni di bruciare una pagliuzza ed a Vayu di soffiarla via.
Gli dei non ci riuscirono.
Questo perché il potere di ogni cosa non è nell'ego, neppure nell'ego degli dei,  ma solo nel Brahaman, nel divino.
Nella Kena Upanishad c'è ovviamente molto di più, e la useremo per altre meditazioni, ma per il nostro lavoro può bastare questo.
Ricapitoliamo quindi i due principi:
·       La forza non sta nell'ego.
·       L'intento non è comprendere il divino ma farci "comprendere".

2) Meditazione. Lascia andare  e sii beato.
Sedetevi in una posizione stabile possibilmente a terra su dei cuscini; per chi ci riesce il loto o il mezzo loto sono la posizione ideale, altrimenti qualsiasi posizione che vi permetta una stabilità, anche su una sedia purché con la schiena eretta.
Concentratevi sul respiro, senza modificarlo,  solo osservatelo.
Quando il respiro è quieto e voi siete quieti si può  iniziare la meditazione vera e propria.
La meditazione consiste nel pronunciare mentalmente alcune frasi ed associarle ad un tipo di respiro.

La prima frase è
Tu sei l'Essere.
Quando  mentalmente pronunciamo il tu, con una profonda inspirazione ed espansione, assaporiamo la sensazione di espanderci al di là del nostro ego. Dev'essere proprio un’uscita, non di testa ma dal proprio ego.
E' un lasciare andare che scioglie ogni tensione.
Pronunciando la parola essere (con espirazione) assaporiamo un nutrimento, siamo usciti da noi, abbiamo contattato il Brahaman e ritorniamo in noi con meno ego e più essere.
Gustiamoci il  senso di beatitudine.

La seconda frase è
Tu sei il mio essere.    
In questo caso la parola mio è la consapevolezza del nutrimento.

La meditazione continua con una serie di coppie di  frasi, che noi stessi decideremo, sempre accompagnate dal respiro consapevole.
Tra una coppia di frasi e l'altra il  silenzio, che diventerà via via sempre più profondo.
Ogni frase predica una qualità del divino.

Vediamo qualche esempio.
Tu sei sapienza / Tu sei la mia sapienza.
Tu sei saggezza / Tu sei la mia saggezza.
Tu sei forza / Tu sei la mia forza.
Tu sei amore / Tu sei il mio amore.
Tu sei consapevolezza / Tu sei la mia consapevolezza.
Tu sei beatitudine / Tu sei la mia beatitudine.
Tu sei gioia / Tu sei la mia  gioia.
Tu sei nutrimento / Tu sei il mio nutrimento.
Tu sei salute / Tu sei la mia salute.
Tu sei salvezza / Tu sei la mia salvezza.
Tu sei felicità / Tu sei la mia felicità.
Etc. e concludere di nuovo con
Tu sei l'Essere. Tu sei il mio Essere.

Non ci sono limiti alle qualità del divino e delle frasi che possiamo usare.
E'  una meditazione che veramente ci spinge a sperimentare l'espressione Aham Brahamasmi. Io sono il/nel Brahaman.
Lasciando andare poco a poco l'ego per entrare nelle qualità universali dell'Essere, lo sperimenteremo veramente come Sat Cit Ananda -  Essere Coscienza e Beatitudine. 

Iniziate per pochi minuti al giorno, e  via  via aumentate il tempo della pratica sino a  superare i quaranta minuti, lasciando sempre più  spazio al silenzio che sarà sempre più beatitudine.
Una volta che vi siete stabilizzati sui quaranta/ cinquanta minuti praticate la  meditazione ogni giorno per tre/ quattro settimane.
Vi renderete conto che non avrete neanche più bisogno di pronunciare le frasi per lasciare andare il vostro ego e riposarvi in uno stato di beatitudine consapevole.
Osservate i benefici.

3) Riflessione e pratica.
Sperimentare questa meditazione ci porta a fare delle  riflessioni e a trasformarle in un' ulteriore pratica.
Abbiamo sperimentato un profondo stato di consapevolezza e beatitudine; questa beatitudine nasce dall'aver lasciato da parte per un momento l'ego ed esserci nutriti dall'Essere.

In questa meditazione abbiamo anche rovesciato un concetto atavico che ci possiede e ci rovina la vita. Il concetto di "mio".
In questa meditazione il temine mio non ha nulla a che fare con il possesso ma con il nutrimento.
Io non possiedo l'Essere, è l'Essere che possiede me, è in Lui il potere.
Ricordate la storia di Agni e Vayu?
Quindi "mio" non è un possesso ma una fruizione, il  mio diventa una partecipazione, quindi partecipo a qualsiasi potenzialità/possibilità del divino e ne sono nutrito.

Riflessione e pratica: "come utilizzo la parola mio, possiedo o mi nutro?"
Se dico “la mia compagna” vuol dire che pretendo di possederla come un oggetto o che in lei mi nutro e mi arricchisco?
Lo stesso vale per i figli, gli amici, il lavoro, gli oggetti, i concetti, etc.
C'è possesso o nutrimento?
Cosa provo quando dico la parola mio?
Il mio lavoro… c'è gratitudine o invece è un "che palle!"?

Sottoponete a costante consapevolezza la parola mio nella vita di tutti i giorni, come la usate, cosa provate a livello di emozioni, sentimenti e pensieri.
Con questa pratica il senso del mio si rovescia come un calzino:  il  possesso diventa labile e l'energia fluisce.

Anche qui ho due estremi da proporre: Gesù e Gollum del Signore degli anelli.
Il piccolo personaggio della saga è posseduto dall'anello eppure dice il "mio tessoro!" "my precious!"
Il “mio malsano” funziona così: l'illusione del possesso si trasforma in possessione, in dipendenza assoluta.
Pensiamo a Gollum anche somaticamente: tutto accartocciato su se stesso.
E' la simbologia dell'avaro: contratto, incartapecorito su se stesso.
Pensiamo ora a Gesù in preghiera che dice Abba (Papà) mio; è tutto un apertura, è pura fruizione, è puro flusso, è comunione, è beatitudine.

Pensiamo alle guerre di religioni,  sono basate sulla falsa idea di un dio riducibile ad un idolo, ad un feticcio, il mio dio è diverso dal tuo, quindi ti uccido.
Follia del malsano possesso,  stoltezza in azione; noi non possediamo  il divino, possiamo solo farci comprendere e nutrirci.
In questo nutrimento possiamo solo che essere fratelli e nutrirci l'un l'altro.
Aham Brahamasmi.
Sat Cit Ananda.

Straf

Se ti è piaciuto questo articolo, condividilo utilizzando i pulsanti qui sotto. Grazie. 

Nessun commento:

Posta un commento