Siamo
circondati da simboli. Simboli carichi di significato, carichi di potere, ma
spesso ormai inutili; sono stati
neutralizzati dalla contro-cultura imperante.
Entriamo
in una chiesa e troviamo simboli, entriamo in un museo e troviamo simboli,
entriamo in un centro yoga e troviamo simboli.
Ma,
ai più, non dicono ormai nulla, ed è vano chiedere qualche informazione: le risposte saranno vaghe e comunque non
sentite, anzi spesso di fronte al
simbolo c'è una specie d'irritazione.
Ma
cos'è un simbolo? Diamo la risposta classica: deriva dal greco symballein ovvero mettere assieme. Nella Grecia antica si dava la metà di un
anello, di una moneta, di un monile ad un proprio amico fraterno per sancire,
anche attraverso le generazioni, che ognuno era parte (simbolo) dell'altro.
Platone
nel Simposio parla del castigo che
Zeus inflisse all'uomo dividendolo in due; ognuno era parte (simbolo) dell'altra metà e
così anelava al ricongiungimento.
Si...
vabbè direte voi ma che ci importa?
Invece
ha una sua importanza, il simbolo è ciò che ci congiunge a qualcosa che
riteniamo di aver smarrito, il simbolo
ci spinge fuori dal nostro egotismo, dal nostro narcisismo, ci congiunge
all'altro, ci può riunire al divino, qualsiasi concezione noi abbiamo del divino.
Non
so quanti siano a saperlo che quella "preghiera" chiamata Credo abbia come nome autentico Simbolo. E non so quanti siano
consapevoli che sia un’unione, un’elevazione verso Dio e rappresenti una storia
del rapporto dell'uomo con Dio. A giudicare da come viene sonnacchiosamente
recitata in chiesa, senza unisono, senza partecipazione, direi non molti.
Basterebbe ascoltarla (e magari cantarla) in un canto in latino e si
percepirebbe il desiderio di elevazione e di unione.
Dunque,
molti simboli si sono persi, eppure, si obietterà, ci sono migliaia di persone
che tracciano simboli per ottenere qualsiasi cosa.
E...
già... e qui che casca l'asino, è qui la differenza tra magia ingenua (o
superstizione) e la spiritualità (o consapevolezza).
I
simboli non hanno un potere di per sé, considerarli così è superstizione,
magia, effetto placebo e quant'altro ma non è pratica dei simboli.
La
pratica dei simboli richiede consapevolezza, meditazione, sapienza.
Mi
spiego: se il simbolo è un elemento d'unione, io devo essere cosciente che
faccio parte di qualcosa, magari non ben definita, ma che anelo incontrare.
Naturalmente
con il tempo posso dimenticarmi di questa verità, ma il desiderio di fondo
rimane.
E'
qui che entra in gioco il simbolo.
Il
simbolo funge, sia da ripristino della
memoria, sia da "anello" di congiunzione con l'altra parte.
Quindi
il gioco, a livello spirituale, funziona così.
1)
C'è un principio: io non sono isolato dal divino (in qualsiasi modo lo
s'intenda).
2)
Questo principio viene spesso dimenticato e si sperimenta l'esatto contrario ovvero
l'isolamento, la separazione, il rifiuto, l'abbandono, la depressione, la
paura, etc.
3)
Rimane però il desiderio di uscire da questo stato di separazione, e rimane il vago ricordo o speranza di una modalità di
uscita.
4)
Il simbolo funge da ricordo che questa via d'uscita esiste.
5)
Il simbolo funge da meccanismo in grado di annullare tutto ciò che nella nostra
mente ci separa dal divino, e quindi ci
separa anche dal prossimo che è parte
del divino.
L'annullamento
degli ostacoli avviene con la pacificazione dei pensieri, delle emozioni, dei
sentimenti, etc.
6)
Il simbolo funge da meccanismo-attivazione consapevole (meditata) di riunione
con la nostra vita più autentica (con il divino).
7)
Il simbolo ci porta dalla molteplicità
dell'esperienza all'unione del significato.
Bè…
bello direte voi ma come?
E'
semplice, da quanto detto risulta chiaro che l'uso dei simboli è un attività
consapevole. Noi siamo parte di "qualcosa" e siamo noi che dobbiamo
mettere in gioco la nostra mente e andare oltre i suoi limiti. In poche parole
il simbolo funzione se noi meditiamo.
Esiste
in proposito una pratica meditativa l'Anyavati
yoga che usa proprio i simboli come strumento per liberarci da tutte quelle
trappole mentali che ci fanno sentire tagliati fuori.
Tale
pratica usa i simboli delle varie figure dell'induismo.
Bisogna
però comprendere bene una cosa: è un lavoro sui simboli non sul simbolismo. Mi
spiego: sapere che Ganesh ha in mano
un particolare strumento non mi serve a nulla.
Il
simbolismo è semplice allegoria: sapere che tale oggetto significa la tal cosa
non mi cambia la vita. Ciò magari mi renderà un erudito ma continuerò a farmi
le mie pippe mentali rovinandomi la vita, anzi magari peggioro pure.
Il
simbolismo è una pratica mortuaria, un sapere di simboli morti.
Anyavati è invece una
pratica viva.
Il
punto non è un acquisire un sapere astratto ma un conoscere concreto, ovvero
fare un'esperienza sapienziale del
simbolo.
Il
simbolo va assaporato nel contesto della propria vita, altrimenti è lettera
morta.
Il
simbolo è una mediazione, una
meditazione su ciò che ci impedisce di vivere con pienezza.
Le
varie forme di divinità dell'induismo non sono una forma di politeismo ingenuo
ma, al contrario, ci portano dall'esperienza della molteplicità all'unità del
divino.
Le
varie divinità sono manifestazioni diverse di un unico principio. Ogni
manifestazione porta con sé diversi oggetti: armi, animali, strumenti votivi,
etc. Ognuno serve per liberarci da particolare intralcio mentale o
esistenziale.
Le
meditazioni attivano la nostra consapevolezza, illuminano aspetti della nostra
vita, trascendendo (andando oltre) i dolori e gli affanni quotidiani, per
portarci ad una dimensione di pienezza dell'essere, consapevolezza e beatitudine (Sat Cit Ananda).
Ovviamente
la pratica del simbolo, benché abbia nella sua dimensione
"induista" il metodo più
diffuso, non significa che per praticarlo si debba essere induisti.
E'
un lavoro per affrancarci dalle nostre prigioni mentali e tutti ne possono
beneficiare.
In
realtà ogni religione nella sua parte spirituale più profonda ha un suo lavoro
con i simboli.
Diverse
tradizioni buddiste sono ricche di meditazioni sui simboli.
Il
jainismo, il taoismo, il caodaismo hanno
pratiche sui simboli, così pure la mistica cristiana, quella ebraica (kabbalah) e quella islamica (sufismo).
Insomma
l'intento è sempre quello: farci uscire dalle nostre oscure caverne mentali per
vedere un poco di luce.
Straf.
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