Accettazione
è uno dei termini più controversi e fraintesi.
Accettare
chi? o cosa?
Accettazione
può essere erroneamente intesa come sinonimo di lassismo, accidia, passività,
fatalismo, ipocrisia e quant'altro.
Quando
insegnavo nei licei, mentre consegnavo
il compito da fare in classe, dicevo agli studenti: "Accettate il vostro
destino e lavorate".
C'è
sempre un gruppo di studenti che si lamenta del compito assegnato: "è
troppo lungo, è troppo difficile, è troppo qualcosa ..."
La
lamentela è inutile, il prof non cambia il compito, lamentarsi è una perdita di tempo e si ci
posiziona in un cattivo atteggiamento mentale, dannoso per affrontare la prova.
Il compito è quello, lo si accetta, punto.
Attenzione:
in ciò non c'è nulla di passivo, anzi è il contrario, si attiva la propria
mente a dare il massimo, quello che si può
fare si fa. Non è passività, è pragmatismo.
La
lamentela tradisce una cattiva fiducia in se stessi e pure verso l'insegnante,
poiché è ovvio che il docente nella valutazione tenga conto anche della
difficoltà del compito stesso.
Quindi,
se lamentarsi è inutile… è meglio agire.
Ci
sono anche delle situazioni della vita in
cui lamentarsi è utile; ad esempio qualora si subisca un'ingiustizia. Ma in tal
caso non è tanto la lamentela sterile che funziona, quanto la giusta capacità
di farsi valere.
E
comunque, a parti questi casi limite, la
lamentela è quanto di più dannoso possibile.
Certo
viviamo in una società che gira al contrario, oggi i genitori picchiano i
docenti, altro che accettazione.
E'
un ulteriore sintomo di decadenza e fragilità.
Esercitarsi
all'accettazione è una potente capacità sapienziale.
Ci
rende più forti, più consapevoli e più determinati.
Vi
propongo quindi un esercizio.
Una
giornata libera da lavoro.
Uscite
di casa di buon’ora senza aver fatto
colazione (gli altri giorni però fatela) e con pochi soldi in tasca.
Raggiungente
con autobus o auto un quartiere della vostra città che conoscete poco e male.
Iniziate
a camminare, di buon passo, senza meta, con l'intenzione di perdervi.
Camminate
molto ma in modo consapevole, facendo attenzione ai piedi che toccano il suolo,
registrate mentalmente o meglio con la mente-piedi le differenze del terreno.
Guardatevi
intorno come se foste dei marziani, registrando tutto fuorché un ipotetica
meta.
Stancatevi,
cominciate a sentire fame e stanchezza.
Quando
sarete veramente stanchi e affamati andate a mangiare nella prima tavola calda
che vi è a tiro, senza valutare, entrate e pensate a mangiare.
Avete
pochi soldi: scegliete quello che potete senza giudicare, pensate di essere un
monaco buddista che accetta nella sua ciotola qualsiasi cosa venga offerto.
Accettazione
e gratitudine.
Mangiate,
mangiate con gratitudine, pensate di essere un pellegrino che ha avuto la
fortuna di trovare un ristoro.
Accettate
il cibo per quello che è senza giudicare.
Concentratevi
sull'azione di mangiare, sui sapori, senza giudizi di buono o cattivo, solo sui
sapori e gli odori.
Concentratevi
sul sapore che sfama: che nuovo sapore ha?
Esprimete
mentalmente (con mente e cuore) gratitudine per chi vi serve al tavolo.
Date
valore al lavoro di chi ha preparato il cibo.
Ora
ritornate sui vostri passi.
Cercate
la strada del ritorno, facendo attenzione a questo nuovo stato mentale che
avete creato.
Createvi
un mantra mentale che può essere: "quel che c'è, c'è" oppure:
"quello che passa il convento va bene" o qualsiasi cosa di analogo.
Prendetelo
come esercizio e fatelo più spesso che potete.
Un
sano pragmatismo e una grande capacità operativa prenderà forma dentro di voi.
Provate per
credere.
Straf
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