lunedì 7 ottobre 2019

PRATICHE: L'ACCETTAZIONE


Accettazione è uno dei termini più controversi e fraintesi.
Accettare chi?  o cosa?
Accettazione può essere erroneamente intesa come sinonimo di lassismo, accidia, passività, fatalismo, ipocrisia e quant'altro.

Quando insegnavo nei licei,  mentre consegnavo il compito da fare in classe, dicevo agli studenti: "Accettate il vostro destino e lavorate".
C'è sempre un gruppo di studenti che si lamenta del compito assegnato: "è troppo lungo, è troppo difficile, è troppo qualcosa ..."
La lamentela è inutile, il prof non cambia il compito,  lamentarsi è una perdita di tempo e si ci posiziona in un cattivo atteggiamento mentale, dannoso per affrontare la prova.
Il  compito è quello,  lo si accetta, punto.
Attenzione: in ciò non c'è nulla di passivo, anzi è il contrario, si attiva la propria mente a dare il massimo, quello che si può  fare si fa. Non è passività, è pragmatismo.

La lamentela tradisce una cattiva fiducia in se stessi e pure verso l'insegnante, poiché è ovvio che il docente nella valutazione tenga conto anche della difficoltà del compito stesso.
Quindi, se lamentarsi è inutile… è meglio agire.

Ci  sono anche delle situazioni della vita in cui lamentarsi è utile; ad esempio qualora si subisca un'ingiustizia. Ma in tal caso non è tanto la lamentela sterile che funziona, quanto la giusta capacità di farsi valere.  
E comunque, a parti questi casi limite,  la  lamentela è quanto di più dannoso possibile.

Certo viviamo in una società che gira al contrario, oggi i genitori picchiano i docenti, altro che accettazione.
E' un ulteriore sintomo di decadenza e fragilità.
Esercitarsi all'accettazione è una potente capacità sapienziale.
Ci rende più forti, più consapevoli e più determinati.
Vi propongo quindi un esercizio.
Una giornata libera da lavoro.
Uscite di casa di buon’ora  senza aver fatto colazione (gli altri giorni però fatela) e con pochi soldi in tasca.
Raggiungente con autobus o auto un quartiere della vostra città che conoscete poco e male.
Iniziate a camminare, di buon passo, senza meta, con l'intenzione di perdervi.

Camminate molto ma in modo consapevole, facendo attenzione ai piedi che toccano il suolo, registrate mentalmente o meglio con la mente-piedi le differenze del terreno.
Guardatevi intorno come se foste dei marziani, registrando tutto fuorché un ipotetica meta.
Stancatevi, cominciate a sentire fame e stanchezza.

Quando sarete veramente stanchi e affamati andate a mangiare nella prima tavola calda che vi è a tiro, senza valutare, entrate e pensate a mangiare.
Avete pochi soldi: scegliete quello che potete senza giudicare, pensate di essere un monaco buddista che accetta nella sua ciotola qualsiasi cosa venga offerto.

Accettazione e gratitudine.
Mangiate, mangiate con gratitudine, pensate di essere un pellegrino che ha avuto la fortuna di trovare un ristoro.
Accettate il cibo per quello che è senza giudicare.
Concentratevi sull'azione di mangiare, sui sapori, senza giudizi di buono o cattivo, solo sui sapori e gli odori.
Concentratevi sul sapore che sfama: che nuovo sapore ha?
Esprimete mentalmente (con mente e cuore) gratitudine per chi vi serve al tavolo.
Date valore al lavoro di chi ha preparato il cibo.

Ora ritornate sui vostri passi.
Cercate la strada del ritorno, facendo attenzione a questo nuovo stato mentale che avete creato.
Createvi un mantra mentale che può essere: "quel che c'è, c'è" oppure: "quello che passa il convento va bene" o qualsiasi cosa di analogo.
Prendetelo come esercizio e fatelo più spesso che potete.
Un sano pragmatismo e una grande capacità operativa prenderà forma dentro di voi.
Provate per credere.

Straf


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